I lettori ci scrivono

L’interazione con il contesto scuola: motivazione, emozione e affettività

Per quanto non pienamente compresa dalla totalità del corpo studentesco in erba,  conoscere la cultura a scuola è indiscutibilmente un vantaggio per molti giovani, ma poco si riflette, all’interno del sistema educativo, sul fatto che conoscere la cultura dei giovani è oggi quanto mai indispensabile se si vuol confezionare un sapere giovane, quant’anche sotto mentite spoglie innovative, ancora servibile e remunerativo tanto quanto quel moderno capitalismo che non misconosce classi di adolescenti seppur  disagiati,  disadattati e reietti, giacché  pupilli di una passività  sempre contraddistinta da una modernità griffata.

Un sistema capitalistico che avvedutamente sovrasta e accoglie da non poco tempo le giovani menti disperse del sistema scuola, ma che porge loro un aiuto al fine di far emergere le migliori risorse, non certamente  quelle interiori ed intellettive, bensì di immediato potere d’acquisto, assistite e coperte, nello scontento dei vizi che incalzano,  dal garante genitore.

In un periodo di costante, rinnovata e meno che mai cessabile transizione, i problemi di crisi adolescenziale, unitamente a quella che molti studiosi definiscono come “crisi di identità”, la consistenza numerica di giovani vittime e ricorsivamente  artefici di un malessere fisiologico, più che di quello patologico, evidenzia il persistere di un disorientamento che avanza a singhiozzo  verso la quiete conclusiva dell’età adolescenziale.

Come in un’officina in cui mettere e far mettere ordine, l’adolescente evolve verso una nuova prima e matura identità, differenziandosi oggi per i mutati luoghi, sempre più virtuali,  in cui il malessere trova fredda e affascinante dimora. Luoghi non sempre facilmente accessibili, scrutabili e compresi dalla scuola, e se in un caso lo sono, il neocolonialismo dei social media ben sostiene, in barba a qualunque momento iniziale di impaccio, relazioni mascherate da identikit che ben testimoniano il mutato e collezionato comportamento generazionale. Ed ancora, quella mutata e crittografata dimensione diafasica, anch’essa testimonia come i singoli comunicanti in crisi producano atti linguistici e modalità digito – espressive  che sembrano omologarne le singole soggettività, addottrinandoli con livelli di competenza sempre più scolasticamente de-formalizzati e per tal motivo rendendoli detentori indiscussi di un livello di comunicazione che richiede all’adulto una competenza di troppo.

Tra sconvolgimenti di tipo emotivo, fisico, psicologico l’adolescente cavalca con fatica quel processo di crescita, animatore di cambiamenti che hanno quale fine ultimo quello di lasciarsi dietro le biologiche complicazioni del passato. In tutto questo “il cammino delle giovani generazioni alla ricerca di sé, della propria identità, della propria collocazione adulta, è più lento e più articolato di quanto fosse in passato.” (Banfi 1994, p. 153).

Più di ieri, ma, visto il trend evolutivo del malessere generazionale, meno di domani, il concetto di disagio, che nelle prime battute delle scienze psicologiche stava ad indicare uno stato soggettivo di sofferenza psichica, avvalora quella  conclamata difficoltà di una lettura scientifica che sappia darne univoca definizione ai non univoci e diffusi incomodi mentali e comportamentali.

Così, senza escluderne e tantomeno ridurne l’ampia gamma di fenomeni psicologicamente rientrati nel dominio delle patologie sociali o casi in cui si può parlare di esplicita devianza preadolescenziale, adolescenziale e minorile, la scuola, l’intero corpo docente,  di fronte ad agitati stimoli giovanili ed a quel sensation seeking, non di rado, additata oltretutto da un’altrettanta e sofferta infelicità famigliare, viene sgridata per il fallimento. Ed è un grido tanto più forte quanto, mancando di autorevolezza, la scuola non sa o non riesce a produrre con la famiglia dell’educando quella consonanza di vicendevole sostegno e corresponsabilità, la quale ultima, senza falso stupore, rimane solo uno scripta manent a perpetua memoria di un patto e di un impegno formalmente ottemperato.

La scuola non deve mancare di inculcare la cultura del Nec hotium, ovvero del non rimanere in ozio, perché di ciò ne saranno riconoscenti quanti si sono sentiti “sballati da un eccesso di studio” e che, inevitabilmente a scuola, sono stati vittime di sinistre giornate di compiti ed interrogazioni, ma sempre grati a ciò piuttosto che a quella tendenza del sentirsi dire il sabato sera “sballati un pò!” e rimanere vittima di un  sinistro stradale e per sempre fuori da una vita fatta di sogni, speranze e ambizioni.

 

Francesco Augello

 

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