Come ogni estate, la pubblicazione degli esiti dell’Invalsi è attesa come un vaticinio infallibile sulla qualità della Scuola.
Si potrebbe discutere sulla reale capacità diagnostica e predittiva di tali prove; esse però consentono di comparare, da un anno all’altro, realtà diverse e di condurre riflessioni sulle tendenze in atto comunque più affidabili degli esami di Stato.
Ebbene: la notizia di quest’anno è che i risultati dei test Invalsi, presentati come un grande riconoscimento per il livello della Scuola trentina, a più attenta analisi palesano evidenti limiti, indizio di un decadimento del tanto sbandierato livello d’eccellenza del nostro sistema educativo e formativo, frutto della “lungimirante” gestione dell’ultimo decennio, nonostante si tenti di fornire al riguardo informazioni edulcorate e artificiosamente tranquillizzanti.
Un po’ come al protagonista del film “The Truman Show” – vissuto per tutta la vita, senza saperlo, al centro di un gigantesco reality – all’opinione pubblica trentina viene continuamente propinato un messaggio artefatto e illusorio, che enfatizza quali elementi positivi i residui di un’eccellenza appartenente semmai al passato, occultando capziosamente indicatori che segnalano un lento ma costante deterioramento.
Continuare a compiacersi di essere tra i primi a livello nazionale nasconde il non voler prendere atto della realtà e l’incapacità di riportare il sistema scolastico in una direzione di crescita che ci permetta di mantenere quel primato.
I segnali non mancano: nelle ultime tre rilevazioni gli studenti eccellenti sono passati dal 35% al 24% (in sostanza, ne abbiamo persi un terzo in tre anni) e nello stesso periodo la dispersione scolastica è quasi raddoppiata. Come non bastasse, il fatto che in Trentino l’istruzione professionale non sia inclusa nel computo complessivo, a differenza del resto d’Italia, comporta un netto vantaggio sotto il profilo comparativo poiché rimangono invisibili le maggiori criticità sia in campo linguistico-matematico sia per l’abbandono scolastico, come evidenzia anche Andrea Gavosto nel saggio “La scuola bloccata”.
Tale panorama tutt’altro che lusinghiero, dietro la patina dei proclami, viene delineandosi proprio mentre a livello nazionale, dopo un calo nella precedente rilevazione con tutta evidenza dovuto agli effetti della didattica a distanza imposta dalla pandemia, i valori appaiono di nuovo in crescita. In quest’ottica non possiamo certo definirci i migliori, risultando piuttosto il sistema scolastico che non ha saputo reagire al pari delle altre regioni.
A questo punto non resta che chiederci quando usciremo dal provincialotto “Invalsi Show”, cercando di restituire dignità e progettualità alla Scuola trentina; quando sapremo di nuovo puntare sulla qualità dell’insegnamento; quando potremo per conseguenza invertire la rotta indicata dai test e torneremo a costruire una Scuola di eccellenza a livello nazionale ed europeo.
Abbiamo indubbie potenzialità, risorse umane ed economiche, ampi margini d’autonomia; mancano volontà, onestà intellettuale nell’ammettere i problemi e nell’affrontarli davvero, scelte pragmatiche al netto di qualsiasi demagogia. Alcuni interventi appaiono improrogabili: la stabilizzazione dei docenti, limitando all’essenziale il ricorso a contratti a tempo determinato; l’aggiornamento dei parametri per l’assegnazione dell’organico di diritto (da anni si riscontra costantemente un delta del 15% con l’organico di fatto); una chiara e puntuale definizione dei margini dell’autonomia d’istituto, che in molti casi è appena autonomia del capo d’istituto; l’adeguamento delle risorse finanziarie per il funzionamento delle scuole; l’aggiornamento dei Piani di studio con verifiche reali sulla loro attuazione (senza cortocircuiti interni dove controllore e controllato coincidono); la riduzione dei gruppi classe a non più di 22 o 23 studenti; una programmazione a medio-lungo termine degli interventi sull’edilizia scolastica, con protocolli chiari in merito agli spazi interni per didattica o pertinenze strumentali e un’attualizzazione dei parametri per lo stanziamento di risorse finalizzate all’inclusione; un orientamento “serio”, su basi scientifiche e professionali, poiché la dispersione scolastica è quasi sempre il prodotto di una superficiale o errata analisi di potenzialità e attitudini degli studenti fra primo e secondo ciclo.
Il bivio è chiaro: come Truman Burbank possiamo continuare a sorridere alla telecamera o possiamo infrangere il cielo di cartone che ci separa dalla realtà. Sarà il campo su cui, verosimilmente, si giocherà una delle partite più importanti anche in chiave elettorale.
Giovanni Ceschi
Maurizio Freschi
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