La raccolta delle firme per la presentazione della Legge di iniziativa popolare sulla scuola è ormai alla stretta finale: per consegnare i pacchi con le firme convalidate ci sarà tempo fino ai primi giorni di agosto ma il comitato promotore sta invitando i gruppi locali chiudere le operazioni entro il 25 luglio.
La storia della LIP Scuola è lunga e complessa e risale addirittura al 2005; una prima versione della proposta di legge venne depositata esattamente 12 anni fa arrivando alla Commissione Cultura della Camera nella primavera dell’anno successivo, senza però andare molto avanti.
Con l’entrata in vigore della legge della “Buona scuola”, la proposta di legge è tornata d’attualità e un nuovo comitato promotore ne ha aggiornato il testo.
La filosofia della legge è al tempo stesso semplice ma impegnativo.
Questo, in estrema sintesi, il programma: obbligatorietà dell’ultimo anno di scuola dell’infanzia ed estensione dell’obbligo scolastico a 18 anni, classi di 22 alunni, ripristino del modulo e del tempo pieno nella scuola primaria e prolungato nella secondaria di primo grado, dotazioni organiche aggiuntive stabili e adeguate per il sostegno, l’integrazione, la lotta alla dispersione e al disagio.
“La legge, inoltre – spiegano i promotori nel loro blog – pensa a una scuola che in nome della continuità didattica dei docenti e della qualità del sistema educativo affronta la questione del precariato, con l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato su tutti i posti vacanti. Una scuola secondaria di secondo grado con un biennio unitario e un triennio di specializzazione che rimanda la scelta delle proprie attitudini a 16 anni (e non a 13 come accade oggi, disorientando le scelte)”.
Senza trascurare un piano straordinario di edilizia scolastica che metta in sicurezza le scuole esistenti e progetti nuove scuole: sicure, salubri, accoglienti, belle ed ecologiche.
Ma come realizzare questo programma?
La risposta è presto data: “E’ necessario il 6% del Pil, perché – dice il Comitato – il 6% è la media europea e nulla di più, mentre noi oggi siamo al penultimo posto per la spesa per l’istruzione; se ce la fanno Paesi ben più poveri del nostro, non si capisce perché noi destiniamo così poco al futuro dei nostri ragazzi (e quindi della nostra società)”.
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