Avrebbe incontrato tutti il nuovo ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, dai presidi agli uffici scolastici, dalle Regioni all’Invalsi, dal Comitato tecnico scientifico alle associazioni dei trasporti, non ancora però i sindacati. E dopo l’ordinanza sugli esami di stato si appresterebbe a intervenire sulla istruzione tecnica e sugli Its: la prima riforma da fare sarà “quella dell’istruzione tecnica, dagli istituti professionali agli Its di cui dobbiamo ridisegnare i percorsi. Ma io sogno per i ragazzi un percorso scolastico che parte dai tre anni e arriva fino alla fine della laurea triennale, perché solo così colmeremo il gap per i giovani del nostro Paese”.
Una vecchia idea questa e un antico progetto del governo Prodi, quando ministro era Beppe Fioroni che per l’occasione, e in previsione di un intervento mirato sulla scuola, dopo i disastri di Letizia Moratti, pubblicò un “Libro bianco sulla scuola” andato poi miseramente negletto, come tutte le cose che si dovevano invece studiare.
Una posizione del resto già anticipata da Draghi al Senato: “In Francia e Germania questi istituti (Tecnici) sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019- 23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale”.
Secondo alcuni dati, rintracciati su Repubblica, “ha scelto un istituto tecnico il 36% dei ragazzi emiliani (terza regione dopo Veneto e Lombardia), contro il 48% di chi ha scelto il liceo, la percentuale più bassa assieme al Veneto. Ma questo non basta a placare la fame di queste figure, lamentata più volte da Confindustria (che proprio a Bologna ha lanciato un suo liceo tecnologico, lo Steam). L’ex presidente Alberto Vacchi stimò in mille periti il “buco” annuale di tecnici patito dalle aziende bolognesi, e per rilanciare l’attenzione per le scuole tecniche lanciò una campagna pubblicitaria con ex diplomati tecnici illustri”.
Uguale discorso, su cui Bianchi intende anche puntare, è l’istruzione tecnica superiore, quegli Its lungamente e profondamente voluti da Confindustria per avere personale con un titolo superiore al diploma ma inferiore alla laurea.
Scelti attualmente da pochi studenti, gli Its promuovono corsi di formazione altamente professionalizzanti, ad alto contenuto tecnologico e innovativo, reso possibile dalla sinergia tra scuole superiori, università e imprese.
A questi Istituti il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” approvato dal precedente governo, destina 1,5 miliardi, ovvero, secondo Draghi, venti volte la cifra di un anno pre- pandemia.
Tuttavia, sempre secondo dati Confindustria, chi frequenta queste scuole ha larga possibilità di trovare in poco tempo un lavoro. Sottolineato che ancora una volta gli Its funzionano e hanno credito soprattutto al Nord, dove l’industria manifatturiera è massiccia e ne ha bisogno, nel Sud sarebbe interessante una inversione di tendenza, investendo seriamente e soprattutto cercando di dribblare la mafia che già con ogni probabilità si sta facendo i conti sulle percentuali di Recovery Fund.
Si aspetterebbe dunque che il nuovo Governo col nuovo Ministro prendano in mano il portafogli e promuovano gli Its.
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