Ci siamo, basta con i programmi: è giunto il momento delle elezioni politiche. Prima e per tutta la durata di apertura delle urne, quindi fino alle ore 23.00 di domenica 25 settembre, nessun politico potrà più parlare. Anche perché quello che avevano da dire lo hanno detto e ribadito più volte nelle ultime settimane. Anche sulla scuola. Perché in tutti i programmi elettorali l’istruzione era ben presente. Ma a che livello? Qui sta il punto. Secondo Adnkronos, “Scuola e università sono citate, con più o meno spazio, nei programmi di tutti i partiti ma i leader ne hanno parlato soprattutto per slogan e il dibattito sui giornali e suoi social ha privilegiato altri temi, soprattutto quelli più adatti alle promesse, a partire dalle tasse”.
L’agenzia di stampa riporta “una fotografia significativa” quelle che sono le frasi più significative dei leader di partiti maggiori.
Meloni + scuola. “Sogno una nazione in cui non devi avere la tessera Cgil per essere un buon docente”.
Salvini + scuola. “In altri Paesi non c’è la pausa estiva di tre mesi ma le pause vengono dislocate nel corso dell’anno e dunque occorre rivedere il tempo a scuola”.
Berlusconi + scuola. “Ieri sono stato a visitare una scuola dove vanno due miei nipotini e proprio nella loro aula si è alzato dai banchi dell’ultima fila un ragazzo dall’aria intelligente e mi ha detto: ‘Signor Presidente, cos’è per lei la libertà?'”.
Letta + scuola. “Serve l’allungamento dell’obbligo scolastico, a 3 anni con la scuola dell’infanzia e allungare fino ai 18 anni”.
Conte + scuola. “Non c’è un aspetto da migliorare, sono tutti da migliorare”. Segue elenco: basta classi pollaio e stipendi bassi ai docenti, ripensare edifici e programmi scolastici in ottica green.
Calenda + scuola. “La nostra proposta di portare a 18 anni l’obbligo scolastico nasce dalla valutazione sui nostri ragazzi del loro livello di preparazione alla fine del secondo ciclo di studi: il grado di impreparazione è del 44%, più del doppio della media europea”.
Quindi, i problemi da risolvere nella scuola, almeno leggendo questa selezione dei temi toccati dai responsabili dei partiti principali della scena politica italiana, sarebbero innumerevoli: il potere di certi sindacati, l’eccesso di giorni di vacanze estive, iniziare la scuola a tre anni anziché a sei, classi pollaio, alzare gli stipendi dei docenti, ammodernare gli edifici, programmi scolastici in ottica green, allungare l’obbligo scolastico fino alla maggiore età.
Alcuni punti, come l’influenza sindacale e i giorni di sospensione dell’attività didattica, non reputiamo che possano essere considerati dei problemi. E comunque non certo delle priorità, visto che se i nostri studenti non eccellono come preparazione (soprattutto in certi territori) non possiamo dare certo la colpa alla Cgil o al caldo che rende impossibile fare lezione d’estate.
Il discorso cambia sugli altri temi toccati dai politici, come l’eccesso di alunni per classe, gli stipendi a dir poco indecenti riservati agli insegnanti, l’allungamento dell’obbligo scolastico anche come risposta alla dispersione eccessiva.
Viene da chiedersi perché nessun partito abbia espresso con precisione dove andare a reperire i finanziamenti per realizzare tutto questo.
È facile dire “basta classi pollaio”. Ma il politico di turno che auspica questo progetto si rende conto cosa comporta portare a non più di 20 il numero di alunni per classe? Significa incrementare di almeno il 20% il numero dei docenti, degli impiegati e dei collaboratori scolastici. Come pure la quantità di aule. Significa, quindi, aumentare di alcuni miliardi il budget di spesa annuale per la scuola.
E che dire degli aumenti di stipendio dei docenti, da portare in linea con quelli europei? Anche su questo fronte l’impegno economico sarebbe importantissimo: 300-400 euro di incremento mensile a docente significa non meno di 8-10 miliardi.
E tanti altri ne servirebbero per altri progetti. I fondi del Pnrr destinati alla scuola, circa 15 miliardi di euro, sarebbero, per intenderci, solo una porzione ‘una tantum’ di quello che servirebbe al comparto per risalire davvero la china.
C’è poi un “particolare” non indifferente da considerare: quello che nel frattempo il Governo uscente ha prospettato, attraverso l’ultimo Documento di economia finanza di ridurre di oltre mezzo punto percentuale la spesa per l’Istruzione entro il 2025. Quindi, l’inversione di tendenza dovrebbe andare superare anche le ombre del passato, quelle che anche sugli stipendi del personale non hanno permesso, negli ultimi 12 anni, di andare oltre un modestissimo +3,48%.
Nulla di nuovo, insomma. Lo stesso economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, presentando qualche mese fa il libro ‘All’inferno e ritorno’, ha rilevato che quello dell’Istruzione è il Ministero con più tagli negli ultimi 15 anni. Un processo che ha toccato l’apice con il dimensionamento Gelmini-Tremonti.
Un dato che vale più di mille promesse sulla scuola e dintorni. E che fa sorgere una domanda spontanea: perchè proprio ora, in condizioni economico-sociali oggettivamente difficili, con l’inflazione alle stelle e tante emergenze nazionali e non da affrontare (la guerra in Ucraina, una pandemia ancora da superare, disoccupazione, Neet e povertà a livelli preoccupanti), dovremmo assistere ad un massiccio investimento per risollevare la Scuola e l’Università?
Sognare è lecito, fare i conti con la realtà è necessario. Buon voto a tutti.
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