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L’Italia celebra Paolo Borsellino, a trent’anni dalla strage di via D’Amelio. Bianchi a Palermo

Ricorre oggi, 19 luglio, il trentennale della strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta, a poche settimane di distanza da un’altra strage, quella di Capaci, in cui venne ucciso il collega e amico Giovanni Falcone. Trent’anni in cui, nonostante i depistaggi, la verità ancora non svelata, l’agenda rossa con tutti i nomi e gli appunti scritti da Borsellino sparita, il ricordo del giudice non è stato scalfito. Troppo potente l’eco dei suoi messaggi, diventati impegno per migliaia di giovani. Il senso delle idee che camminano e si propagano se si ha la forza di trasmetterle. Il giudice aveva sì paura perché questa è umana, ma accompagnata dal coraggio di lottare per cambiare le cose.

Il ministro Patrizio Bianchi sarà a Palermo per celebrare la giornata, incontrerà alle 10 le ragazze e i ragazzi che partecipano all’iniziativa ‘Coloriamo via d’Amelio’ organizzata, in via D’Amelio, dal Centro Studi Paolo e Rita Borsellino per tenere viva la memoria del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta Agostino Catalano, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi e Vincenzo Li Muli. Alle 12.30 Bianchi incontrerà gli studenti e i docenti dell’Istituto Comprensivo “Antonio Ugo” di Palermo coinvolti in attività e iniziative che rientrano nell’ambito del Piano Estate 2022.

L’evento formativo della Tecnica della Scuola con Gian Carlo Caselli

Falcone e Borsellino? “Hanno avuto coraggio, sicuramente, anche se Falcone come Borsellino spesso hanno risposto alla domanda se avessero paura, dicendo: come si fa a non avere paura? L’importante è avere un po’ più di coraggio rispetto alla paura che non si può non avere. Ma soprattutto avevano spirito di servizio”. Così Gian Carlo Caselli durante l’appuntamento della Tecnica della Scuola sul trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in un accorato discorso rivolto direttamente agli studenti.

Ma Falcone e Borsellino sono morti anche perché noi cittadini non siamo stati abbastanza vivi. Entrambi hanno visto una serie di nefandezze, di illegalità, di scempio della democrazia, di compravendita di voti. Eppure non si sono voltati dall’altra parte. Mentre tutti noi spesso abbiamo scelto il gioco del quieto vivere, della sottomissione. E allora Falcone e Borsellino li abbiamo sovraesposti. Anche per questo sono morti. Ricordarli significa essere sempre vivi e denunciare ciò che non va, stando al fianco di chi combatte l’illegalità”.

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Daniele Di Frangia

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