Attualità

L’Italia delle due scuole: “giocata” e “parlata”

Come per il calcio, che può essere “giocato” e “parlato”, anche la scuola italiana ha due nature. Da un lato la scuola “giocata” quella che vede coinvolti studenti, docenti, personale e famiglie tutti i giorni e per gran parte dell’anno solare e dall’altro la scuola “parlata”, quella che va avanti 365 giorni su 365 e alla quale anch’io, in questo momento, sto dando il mio contributo. Le due scuole talvolta si incontrano, talvolta si scontrano, talvolta procedono in parallelo, quasi ignorandosi.

La parte più consistente della “scuola parlata” viene prodotta sotto forma di prosa burocratico-ministeriale non sempre chiarissima ma sempre piena di presunte buone intenzioni e animata dalla volontà di governare la scuola “giocata”. In Italia dal 2000 al 2022 abbiano collezionato quattro riforme ufficiali (Berlinguer, Moratti, Gelmini, Giannini-Renzi) e due mini-riforme (Fioroni e Profumo); esse si sono succedute accavallandosi, come le onde del mare, e ciascuna di esse ha lasciato detriti, frammenti irrisolti ancorché il filo rosso che le ha tutte unite sia uno solo: il taglio di fondi alla scuola statale.

E diciamo che questo è l’unico dato coerente e continuativo che ha accompagnato la politica scolastica nell’ultimo quarto di secolo. Il 2023 ci ha regalato l’ultima “riforma”, quella legata all’attuazione delle linee del PNRR; la pioggia di soldi che il PNRR ha rovesciato sulla scuola si è metamorfizzata in una gran quantità di materiale tecnologico e di arredi per “ambienti di apprendimento innovativi” ma anche, più silenziosamente, in una ennesima “riforma”.

Ed ora, finita l’estate, assistiamo alla solita solfa: la “scuola parlata” difende i meccanismi mostruosi che ha partorito, tra i quali spicca, come un animale mitico ibrido e cattivo, l’Algoritmo che viene usato per le attribuzioni delle supplenze da GPS.  Nato con la pandemia e con la necessità di non affollare i locali con centinaia di aspiranti alle supplenze, da subito il sistema si era rivelato carente e inefficiente.

Se al primo giro non si riesce ad essere nominati, il “sistema” butta fuori l’aspirante docente e procede, va sempre avanti, cosicché chi ha un punteggio inferiore rischia di avere più opportunità rispetto a chi si trova più in alto in graduatoria poiché, nel frattempo, si sono liberate nuove cattedre per i più svariati motivi.

L’unico metodo per essere sicuri di avere una nomina, se la propria posizione in graduatoria è discreta, mi pare sia quello di non indicare le 150 scuole ma di limitarsi ad indicare tutti i distretti e tutti i comuni possibili. Un evidente controsenso anche questo: si rischia di andare a lavorare molto lontano da casa anche quando, magari, ci sarebbero parecchi posti più comodi.

Mentre scrivo, però, mi rendo conto che il groviglio creato dall’algoritmo mal impostato è chiaro soltanto a chi ne subisce le conseguenze. Una cosa forse risulta però evidente a tutti: che persino aspetti palesemente non funzionali e difettosi, che si potrebbero correggere con un po’ di intelligenza e di buona volontà, di anno in anno permangono, creando motivato scontento nella parte più debole della categoria. Non soltanto i docenti precari devono metabolizzare l’assegnazione ogni anno ad una nuova scuola ma devono subire anche i capricci di un metodo di assegnazione delle cattedre a dir poco irrazionale.

Tutto questo ha un nome preciso: si chiama vessazione. Al di là delle belle parole sulla dignità degli insegnanti, sul loro importante compito educativo, sulla scuola come pilastro di civiltà ci sono i fatti: i docenti precari non hanno nemmeno quest’anno il diritto di scegliere una cattedra nel posto per loro più comodo e lo stesso problema dello scorso anno – e cioè che possano essere avvantaggiati coloro che si trovano in basso nelle graduatorie –  si sta ripetendo; fra poche settimane, forse i supplenti non avranno il diritto di essere pagati puntualmente. Il copione, per nulla divertente, si recita da anni senza che, da parte dell’Amministrazione, si pensi a rimediare a queste banali e colpevoli inefficienze.

Giovanna Lo Presti

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