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L’Italia? È una Nazione di vecchi, lo dice l’Istat

L’Istat nel suo ultimo report sugli indicatori demografici, sottolinea che nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’Unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.

In realtà, tra le cause pesano tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni)”.  Ma l’Istat dice pure che  “questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie.”

Il numero stimato di ultracentenari raggiunge nel 2022 il suo più alto livello storico, sfiorando la soglia delle 22mila unità, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente e triplicandosi nel corso degli ultimi venti anni.

E ancora, dice l’Istat: un italiano su quattro ha almeno 65 anni e nonostante l’elevato numero di decessi avvenuto in questi ultimi tre anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito portando l’età media della popolazione da 45,7 a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023.

La popolazione ultrasessantacinquenne, che nell’insieme raccoglie 14 milioni 177mila individui a inizio 2023, costituisce il 24,1% della popolazione totale contro il 23,8% dell’anno precedente.

Riprende tuttavia il calo dell’indicatore congiunturale di fecondità e prosegue  la tendenza alla riduzione dei progetti riproduttivi con un’età media al parto pari a 32,4 anni.

La diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 mentre nel Mezzogiorno  si registra un lieve aumento, con il numero medio di figli per donna che si attesta a 1,26. 

Il numero dei matrimoni registra un lieve aumento, con un tasso che passa dal 3,1 al 3,2, ritornando così ai livelli pre-pandemia. Il tasso più elevato si riscontra nel Mezzogiorno mentre nel Nord e nel Centro i livelli sono inferiori. 

La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna. Le regioni a seguire, Sicilia e Campania, registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e 1,33. 

In questo insieme di regioni le madri sono mediamente più giovani, con valori dell’età media al parto compresi tra il 31,4 della Sicilia e il 32,1 del Trentino-Alto Adige. Regioni con fecondità decisamente contenuta sono il Molise e la Basilicata, con un valore di 1,09 figli per donna, ma su tutte spicca la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è per il terzo anno consecutivo l’unica regione con una fecondità al di sotto dell’unità.

Nel Mezzogiorno si trovano le regioni con la più elevata età media al parto, Basilicata (33,2), Sardegna Molise (32,9). Si tratta delle regioni con il più basso tasso di fecondità, la cui diminuzione è legata proprio alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità che di fatto si tramuta sempre più in una definitiva rinuncia.

Scendendo a livello provinciale, il primato della fecondità più elevata spetta alla provincia di Bolzano/Bozen (1,65), seguita da Gorizia (1,45), Crotone (1,44), Ragusa (1,43), Palermo (1,42) e Catania (1,41). 

Il primato della fecondità più bassa spetta alle province sarde, con ben tre province su cinque, CagliariSud SardegnaOristano, al di sotto di un figlio per donna (0,93 la prima, 0,90 le ultime due). 

Pasquale Almirante

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