Era l’11 luglio 1982 quando la Nazionale italiana di calcio, sconfiggendo a Madrid la Germania, conquistò il titolo mondiale, sottolineato anche dalla celebre frase del telecronista Martellini che aveva uno stile pacato ma che alla fine pronunciò per tre volte di fila “Campioni del mondo!”.
Eppure quel “mondiale” non era iniziato sotto i migliori auspici e c’erano state tante discussioni e contestazioni ancora prima che si partisse per la Spagna, polemiche persino nell’epilogo a maggio del campionato di calcio in quanto appariva chiaro che la Federazione italiana (e non solo) volesse evitare che finisse con uno spareggio per l’assegnazione del titolo quel torneo che aveva visto un serrato confronto tra la Juventus e la Fiorentina – ritornata anche grazie ad acquisti di valore agli splendori del periodo a cavallo fra gli Anni ‘50 e ’60, quando aveva conquistato scudetti, coppe Italia e successi europei – la quale nel finale del torneo aveva recuperato un certo distacco in classifica e sembrava, anche grazie al rientro del suo capitano Antognoni, reduce da un grave infortunio che lo aveva tenuto lontano dai campi di gioco per molti mesi, più in forma della squadra piemontese.
All’ultima giornata del campionato italiano 1981/82 Fiorentina e Juventus arrivarono a pari punti e il timore di uno spareggio, che avrebbe ritardato la preparazione della squadra nazionale al mondiale da svolgere in Spagna – anche perché molti componenti di quella nazionale erano proprio calciatori di Juventus e Fiorentina – era quindi una possibilità tutt’altro che remota. E’ vero che se la formazione bianconera aveva sulla carta un compito agevole giocando sul campo di una squadra, il Catanzaro, che era già salvo e si prevedeva non costituisse pertanto un ostacolo difficile (ma non fu così!), la squadra gigliata (allenata allora da De Sisti, il capitano dell’ultimo scudetto vinto dalla Fiorentina nel 1969, nonché “regista” dell’Italia vincitrice del campionato europeo del 1968) affrontava invece una trasferta non semplice in quanto rendeva visita al Cagliari che lottava per evitare la retrocessione. Ma poiché la squadra sarda si sarebbe potuta “salvare” pur perdendo, con la concomitanza di altri risultati che avrebbero penalizzato le sue concorrenti per la permanenza in serie A, si ipotizzava che le due pretendenti al titolo avrebbero potuto vincere entrambe, e ciò avrebbe appunto comportato una partita di “spareggio”. L’esito finale relegò invece la Fiorentina al secondo posto e le polemiche fioccarono in quanto in effetti diversi episodi penalizzarono i viola: gol annullato nel secondo tempo a Ciccio Graziani – altro pilastro della Nazionale che giocava quell’anno nella squadra di Firenze dopo avere trascorso tante stagioni nel Torino – ed apparso ai più regolare, mentre a Catanzaro era stato assegnato un rigore (giusto) alla Juventus, realizzato, ma nel primo tempo, giocato con grande impegno e sportività dalla squadra calabrese, era stato negato al centravanti del Catanzaro un rigore nettissimo causato da un fallo clamoroso di un difensore juventino. La Fiorentina si fermò a quel gol annullato, anche perché per via dell’esito di altre partite al Cagliari serviva il pareggio per salvarsi e quindi fece di tutto per riuscirci, mentre la squadra allenata allora dal bravo Trapattoni vinse con il minimo scarto (e tante polemiche) in Calabria.
C’è chi si chiederà perché ci siamo soffermati su questa faccenda collegata al campionato: presto detto, a qualcuno sembrò che la volontà di evitare quello spareggio si manifestò nella “scelta” di “preferire” una squadra all’altra (e visti gli sviluppi delle rispettive partite secondo molti apparve chiaro quale squadra era stata preferita: non va dimenticato che l’anno prima sulla Juventus si erano abbattute polemiche per una rete annullata ad un giocatore della Roma, per via di un fuorigioco che non c’era, proprio nella sfida diretta tra giallorossi e bianconeri, cosa che poi determinò la conquista dello scudetto da parte della Juve a svantaggio dei romanisti). Quindi le polemiche, non dentro l’ambiente della Nazionale, ma intorno, furono notevoli, anche perché la maggior parte dei “nazionali” erano calciatori juventini.
Ma c’era un clima di sfiducia anche verso la stessa Nazionale, che nelle ultime prestazioni non aveva affatto convinto ed anche alcune scelte del tecnico Enzo Bearzot, che escluse dalle convocazioni ai “mondiali” giocatori ritenuti dalla stampa in grande condizione, a cominciare dal capocannoniere di quella stagione, il romanista Pruzzo, innescarono malumori e polemiche. E poi non si era ancora spenta l’eco del “calcio scommesse” che due anni prima aveva coperto di vergogna il calcio italiano.
Il fatto che la Nazionale azzurra stentasse nel girone di qualificazione del mondiale spagnolo, che invece appariva “abbordabile” (tre pareggi consecutivi con Polonia, allora comunque nazionale di buon livello, Perù e Camerun), acuì ancora di più le contestazioni ai giocatori ma soprattutto al commissario tecnico Enzo Bearzot. La compagine italiana aveva allora scelto il “silenzio stampa” e le brevi comunicazioni venivano affidate al solo capitano, il quarantenne portiere Dino Zoff.
L’Italia passò il turno da seconda classificata nel girone (alle spalle della Polonia) e soltanto perché a parità di punti aveva segnato una rete in più del Camerun. Finì così in un ennesimo girone, stavolta composto da tre squadre e le avversarie erano il Brasile (grande favorito per la vittoria finale) e l’Argentina , campione uscente, anche se quattro anni prima aveva vinto il titolo in una edizione definita “mondiale della vergogna”, non solo per discutibilissime situazioni determinatesi in campo (anche un sospetto caso di corruzione sportiva, poi svelato e appurato negli anni successivi) ma soprattutto perché quel mondiale non avrebbe dovuto essere disputato in Argentina, dove c’era una feroce e sanguinaria dittatura “fascista”, con tante vittime e “desaparecidos”, con luoghi di tortura vicino proprio agli stadi in cui si giocavano le partite, in particolare il centro di sterminio nei pressi dello stadio “Monumental” di Buenos Aires (dove si svolse la finale vinta dall’Argentina). Ma di questo scriveremo più dettagliatamente, se ce ne sarà occasione, in altra circostanza, magari fra un anno quando saranno 45 anni esatti da quel “mondiale della vergogna”. Resta il fatto che soltanto alcuni Paesi cercarono di boicottare la manifestazione ma solo qualche intellettuale e qualche oppositore politico appoggiò la protesta, oltre ad Amnesty International, mentre la maggior parte dei governi e la stessa Fifa (Fédération Internationale de Football Association) decisero di ignorare (o, in qualche caso, almeno sottovalutarono grossolanamente) il dramma che peraltro era ormai dilagante (ed anche le atrocità commesse cominciavano ad essere conosciute): se si pensa che quest’anno è stato invece impedito agli atleti paralimpici russi e bielorussi – che nessuna colpa hanno dell’invasione russa – di partecipare alle Paralimpiadi invernali (al limite senza simboli dei loro Paesi) soltanto pochi giorni prima che iniziassero (senza pensare minimamente ai sacrifici che tali atleti, già sfortunati nella loro vita, avevano fatto per arrivare a quello che è il sogno di ogni sportivo!) si resta… senza parole!
Ma ritorniamo alla Nazionale del 1982: insomma chi avrebbe puntato davvero al passaggio del turno dell’Italia quando solo una squadra di quel girone poteva proseguire il cammino? Ma sulla “cavalcata” azzurra verso la finale e il successo di Madrid (quando in pieno mese di luglio tanti studenti sostenevano ancora gli esami di “maturità”) ci soffermeremo dettagliatamente nella seconda parte di questo articolo.
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