Il Coordinamento Nazionale dei Docenti delle discipline dei Diritti Umani, nel 30° anniversario dell’uccisione per mano mafiosa del giudice Rosario Angelo Livatino, avvenuta il 21 settembre del 1990, propone ai docenti delle discipline giuridiche ed economiche, nonché ai docenti di lingua e letteratura italiana e dell’I.R.C. di avviare un approfondimento trasversale sulla sua figura per coglierne gli aspetti letterari, le riflessioni sullo stato di diritto e la profonda spiritualità.
E di proporlo pure come esempio ai ragazzi, visto che a soli 26 anni era già al tribunale di Caltanissetta, subito dopo alla Procura di Agrigento, come Pubblico Ministero, e nel 1981 magistrato presso il Tribunale di Agrigento, vivendo la sua professione di magistrato come una “missione di carità verso l’uomo e agendo da servo di Dio”.
Ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990, mentre si recava in ufficio senza scorta, il Coordinamento dei docenti di diritto, sottolineano la sua figura di uomo di legge e di fede, di “professionista colto ed estremamente consapevole, credente convinto e praticante”, dotato di una fede che “ha dato forma al suo servizio professionale”, come lo ha definito il cardinale Franco Montenegro a chiusura del suo processo di canonizzazione diocesano.
E a questo fine, dal 2011 al 2018 sono state raccolte oltre 4000 pagine di testimonianze della sua fama di santità che descrivono un uomo ed un giurista sempre volto all’ umanizzazione della giustizia. Uno dei 45 testimoni escussi nella causa di beatificazione e canonizzazione ha riferito che Livatino era solito stringere la mano dell’imputato al termine dell’udienza e che non gli interessava condannare ma rendere realmente giustizia, giudicare in base ai fatti guardando l’imputato in modo umano.
Il pentimento e la conversione dei suoi aguzzini, assieme alle testimonianze della sua fede e di un miracolo potrebbero portare al riconoscimento della sua venerabilità, beatificazione e santità a conclusione del processo presso la Congregazione delle Cause dei Santi.
“La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana” perché “la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge”. Così il giudice Livatino descriveva il rapporto tra fede, giustizia e legge durante la conferenza sul rapporto tra fede e diritto svoltasi a Canicattì il 30 aprile 1986.
Altro che ragazzino, dunque, Livatino fu un giudice di maturo ed elevatissimo spessore, modello di grande uomo e giurista giusto e testimone potente della fede cristiana.
Nei suoi appunti si legge: “Quando moriremo non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili”, per questo, sottolinea il Coordinamento, insegniamo ai nostri giovani ad essere credibili, ad essere testimoni dei propri ideali e della propria etica in ogni azione quotidiana, a credere di poter raggiungere i propri obiettivi con impegno e valore senza dover scendere a compromessi.
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