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Lo psicodramma del brutto voto

La valutazione docimologica va da 1 a 10 e il docente ha il diritto di esprimere liberamente il suo voto e di documentarlo attraverso le verifiche.

Il Dirigente Scolastico non può minimamente interferire nella valutazione espressa dal docente perché lo stesso Dirigente non sta in classe con gli alunni e non conosce affatto il processo di apprendimento, né tantomeno il rendimento degli stessi. I voti, quindi, vanno da 1 a 10 e gli studenti delle generazioni passate se prendevano un 2 o un 3 in pagella non ne facevano per nulla un dramma.

Nella scuola di oggi prendere un voto inferiore a 5 rappresenta per l’alunno una situazione da psicodramma che lo conduce ad abbandonare la scuola o addirittura a situazioni ben più negative. Questa situazione di “comunismo didattico” all’interno delle istituzioni scolastiche che hanno determinato uno strapotere della figura del Dirigente Scolastico è stato voluto dalla legge della “Buona Scuola”, quella famigerata 107 che ha prodotto soltanto uno sconquasso nel nostro sistema d’istruzione.

Ciò ha determinato soprattutto una esagerata situazione di interferenza del DS nell’operato del docente che non è più libero di esprimere la sua personale valutazione sugli alunni. Non è ammissibile che il voto del singolo docente venga cambiato arbitrariamente per decisione del Consiglio di Classe.

Ci sono dati oggettivi che testimoniano, soprattutto nelle discipline che prevedono prove scritte e orali, il progresso o il regresso del processo di apprendimento dell’alunno.

Un Dirigente Scolastico che “detta legge” perché crede di essere al di sopra della legge e compila una circolare in cui “obbliga” i docenti ad esprimere una valutazione che non vada al di sotto del 5 perché gli alunni poi abbandonano la scuola, è da considerarsi fuori luogo e in contrasto con la libertà da parte del docente di esprimere la propria valutazione ed anche in contrasto con le norme vigenti sui vari aspetti della valutazione stessa.

Sic stantibus rebus una ipotesi potrebbe essere quella di chiedere già all’inizio dell’anno agli alunni chi ha intenzione di studiare e chi no. Quelli intenzionati a studiare farebbero prove scritte e interrogazioni; i secondi ne sarebbero esentati e riceverebbero la pagella di fine anno con la dicitura “promosso”.

 

Mario Bocola

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