Lo psicologo Raffaele Morelli ha risposto ad alcune domande, ai microfoni de Il Corriere della Sera, in merito ai giovani e all’educazione. Ecco le sue parole.
“Perché non pensiamo al suicidio giovanile che è ormai la seconda causa di morte fra i giovani, con incrementi del 400% all’anno dalla pandemia? Questa è un’emergenza vera”, questo l’allarme dell’esperto. “Abbiamo perso il mistero, l’energia sognante, il chiudere gli occhi e immaginare. Non facciamo più queste cose, ma l’immaginazione è magia. Nella vita sempre in diretta per ciò non c’è posto”, ha continuato.
“Troppi pensano che oggi il nostro mondo sia tutto in rete, nei post, dentro uno schermo. La realtà è chiusa in quella scatola: se non ci sono, se non intervengo, se non condivido gli altri non mi vedono e io non esisto. E se per la scatola non esisto vado in crisi”. E, sulle challenge social, spesso molto pericolose: “In passato c’era la follia dionisiaca dell’età giovanile, con azioni pericolose fatte senza pensare alle conseguenze. Adesso si aggiunge la ricerca dell’approvazione, le persone fanno le cose peggiori e si filmano inviando tutto online, sprezzanti pure di finire in guai giudiziari”.
“I piccoli sono collocati sempre sull’esterno: si cerca, anche per loro, l’approvazione degli altri. I ragazzi vengono tenuti “infantili”: ho sentito qui nel mio studio un nonno parlare del nipote ventenne chiamandolo ‘tesoro’. Poi c’è l’omologazione: modelli identici per tutti. Dovremmo invece ricordarci che il nostro modello siamo solo noi, nella nostra unicità. L’immaginazione dove è finita? Lo dico sempre anche ai miei pazienti: riprendiamo a fare ciò che ci piaceva da bambini, ricordiamoci che ‘lì fuori’ ci sono altri mondi. Dobbiamo imparare a seguire la nostra stessa natura, per stare bene”, ha aggiunto.
Infine Morelli ha parlato delle difficoltà dei giovani di oggi nel mondo del lavoro: “Arrivano a rifiutare il lavoro, magari perché impegna il weekend. Ma molti ragazzi – non tutti ovviamente – agiscono così perché sono proprio i figli tenuti ‘infantili’ dai genitori. Vero è che c’è meno indipendenza. Oggi abbiamo chi rifiuta un lavoro perché ha altri su cui contare. Dare il reddito di cittadinanza a un diciottenne significava togliergli l’ebbrezza di dire: ce la faccio da solo. Invece credo che i giovani debbano andare via da casa a 18 anni: c’è l’Erasmus, ci sono molte occasioni. Le difficoltà ci sono sempre state. Ma l’indipendenza è un po’ magia. I ragazzi la possono, la devono riconquistare”, ha concluso.
Ecco un suggerimento alle istituzioni, sempre provocatorio, dello psichiatra Paolo Crepet di qualche mese fa: “Da dove ripartire? Per esempio il Ministero potrebbe dire basta ai genitori a scuola. Non si dovrebbe entrare. La scuola è il luogo dei ragazzi e dei loro insegnanti. Punto. Già questa sarebbe una rivoluzione. I genitori dovrebbero poter andare a scuola una volta l’anno. Eliminare i voti? Facciamo una bella cosa, eliminiamo tutto. Eliminiamo anche le materie. Lasciamoli liberi come i bisonti nelle praterie del Nord America. Non mi piego a questo dibattito. Eliminiamo tutto, lasciamo andare a scuola mamma, papà, zia. Così i figli saranno liberi di fare nottata con gli spritz pagati da papà. La formazione crea disequilibri perché c’è uno che studia di meno e uno che studia di più. Se uno non vuole studiare andrà a lavorare. Non capisco questo egualitarismo da dementi. Non devono essere tutti laureati, anche perché poi non c’è nessuno che sa mettere a posto una sedia. Non solo la scuola è fallita, pure la famiglia è morta. Un 4 a scuola è un momento formativo. Così come quando ti lascia la fidanzata o litighi con gli amici”.
Ecco alcune battute di Crepet ospite dell’Istituto Salesiano Don Bosco di Treviglio, come riporta Primatreviglio: “Bisogna diffidare delle scuole che hanno il 90% dei promossi, perché mettere sullo stesso piano uno studente che si impegna, che ci mette passione, curiosità con uno che non ha voglia di far nulla? Bisogna difendere la meritocrazia. Ognuno di voi ha diritto alla sua scalata. Se i genitori spianano la strada per evitarvi difficoltà e problemi non vi stanno aiutando. Iniziate voi stessi a dire ‘ce la faccio da solo’. Dovrebbe essere di legge iscriversi a un’università distante dalla cucina di casa di almeno 450 chilometri”, ha concluso.
“Se le scuole non sembrassero uno slam di una qualsiasi metropoli del quarto mondo o se anche solo i docenti fossero pagati abbastanza, probabilmente alla lunga il voto in condotta potrebbe non servire davvero. Perché certi treni sono pieni di graffiti e altri no? Perché quelli pieni di graffiti arrivano sempre in ritardo. Ecco, il non funzionamento di qualcosa genera rabbia. Ma quando una cosa che sta funzionando mi arricchisce ed è un ‘dispensatore’ di gioia, la rispetto. Solo che oggi l’istruzione non gode di questo privilegio”, ha detto Crepet a Il Fatto Quotidiano.
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