Chi fa psicoterapia può esercitare la professione solo se in possesso della laurea in psicologia e avere poi frequentato la specifica scuola di specializzazione: a ricordarlo è il Tar del Lazio in una sentenza con la quale ha accolto un ricorso proposto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi.
L’Ente che riunisce e rappresenta tutti gli ordini territoriali degli psicologi italiani, si era rivolto ai giudici amministrativi per ottenere l’annullamento della dichiarazione di nullità del decreto del Ministero della Salute del gennaio scorso con il quale si era disposto che “il titolo denominato ‘Postgraduate Diploma in Cognitive Behavioural Therapy (IAPT Programme)'” rilasciato da University of London – Royal Holloway and Bedford New College di London “è riconosciuto ai fini dell’esercizio, in Italia, dell’attività psicoterapeutica”.
L’ordine degli psicologi contestava la qualifica affidata alla posizione di una psicoterapeuta non laureata e segnalava come a suo avviso il Ministero della salute avrebbe dovuto rifiutare integralmente il riconoscimento del titolo.
Ebbene, per il Tar il ricorso fondato, perché “per esercitare la professione di psicoterapeuta in Italia è necessario aver conseguito la laurea in psicologia o in medicina e chirurgia e, all’esito di questa, aver frequentato una scuola di specializzazione per un’ulteriore durata di almeno quattro anni”.
Sempre il Tar ha ricordato nella sentenza che il regolamento vigente di settore, non a caso, “chiarisce che alle scuole di specializzazione in psicoterapia può accedere esclusivamente solo chi ha conseguito la laurea in psicologia o in medicina e chirurgia”.
Per concludere, la normativa italiana stabilisce “il principio che, in caso in cui sia richiesta la sussistenza di un ‘diploma’, inteso come il possesso di una specializzazione della durata di almeno quattro anni, il Ministero può rifiutare l’accesso alla professione e l’esercizio”. E se non lo fa, può pensarci il giudice, come in questo caso.
Vale la pena ricordare che nelle scuole secondarie da diversi anni vengono attivati “sportelli di ascolto”, quasi sempre affidati a psicologi: così come indicato nella sentenza del Tar, questi professionisti devono avere nel loro curriculum professionale determinati titoli, meglio ancora se corredato con un lungo tirocinio in strutture sanitarie pubbliche. Titoli ed esperienze che, però, non sempre vengono ritenuti indispensabili per acquisire il delicato ruolo a contatto con gli studenti.
Nello specifico, il protocollo di Intesa tra Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi e Ministero della Istruzione, prevede che “gli obiettivi e le finalità” degli interventi nelle scuole “dovranno essere realizzati mediante l’intervento di professionisti psicologi all’uopo selezionati; in questo senso, ….
le attività di selezione degli psicologi si baseranno sui seguenti criteri di selezione e condizioni di partecipazione:
a) tre anni di anzianità di iscrizione all’albo degli psicologi o un anno di lavoro in ambito scolastico, documentato e retribuito, oppure formazione specifica acquisita presso istituzioni formative pubbliche o private accreditate, di durata non inferiore ad un anno o 500 ore;
b) impossibilità, per tutta la durata dell’incarico, da parte degli psicologi selezionati, di stabilire rapporti professionali di natura diversa rispetto a quelli oggetto del presente Protocollo con il personale scolastico e con gli studenti, e loro familiari, delle istituzioni scolastiche nelle quali prestano il supporto psicologico.
Qualora, dunque, le scuole non affidino il servizio di consulenza ad uno psicologo con i requisiti sopra richiesti – tre anni almeno di iscrizione all’albo, un anno di esperienza già acquisita a scuola o formazione specifica in strutture ad hoc – , sarebbe bene esplicitarlo nella proposta del servizio stesso spiegando che si tratta di un mero percorso di ascolto e presa d’atto dei problemi riferiti dagli studenti: non bisognerà, in questi casi, quindi fornire consigli o percorsi di recupero di carattere psicologico. A ognuno il suo “mestiere”, soprattutto se di fronte abbiamo dei ragazzi in crescita e sempre più ansiosi.
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