Lo sciopero unitario del comparto Scuola proclamato per il 17 maggio da tutte le sigle sindacali non andava in alcun modo revocato, ma indetto e partecipato perché sarebbe stata una risposta forte e incisiva sui temi caldi del momento, ossia la regionalizzazione e l’aumento degli stipendi del personale docente.
Ancora una volta i sindacati si sono chinati ai voleri del Governo, il cui obiettivo era appunto quello di scongiurare lo sciopero. L’intesa raggiunta lo scorso 24 aprile si basa su un contenitore vuoto, fatto soltanto di chimeriche promesse dal sapore pre-elettorale.
L’intesa, infatti, non è stata sottoscritta (perché non è un contratto), ma avvalorata da accordi di parola che non trovano riscontro nella realtà.
Prima di tutto vi è l’inconsistenza delle cifre che sono state promesse per adeguare gli stipendi degli insegnanti al tasso reale d’inflazione e quindi al recupero del potere di acquisto che si tradurrebbero ipoteticamente in un aumento di circa 100 euro, cifra ancora molto lontana dalle retribuzioni dei docenti europei.
Ricordiamo che negli dieci anni i docenti tra rinvii di contratti e mancati scatti stipendiali hanno perso oltre 1000 euro, un gap economico che difficilmente potrà essere colmato col la situazione economica dell’Italia in questo momento ingabbiata dai vincoli di bilancio della UE. Vi è poi il problema della regionalizzazione, questione tanto cara al Governo giallo-verde che già ha visto alcune regioni del Nord chiedere l’autonomia in materia scolastica.
Per queste ragioni lo sciopero indetto per il prossimo 17 maggio va attuato e la risposta del mondo della scuola deve essere forte e incisiva. Altrimenti l’azione sindacale viene meno ad ogni proposta del Governo, nonché la credibilità del comparto istruzione che continua ad essere poco considerato e tutelato.
Mario Bocola
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