Politica scolastica

Lo sciopero del 6 maggio: un fallimento? Assolutamente no!

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo di Giovanna Lo Presti, portavoce della Cub Scuola.

Leggo sulla pagina Facebook di Tecnica della scuola i commenti allo sciopero del 6 maggio scorso che, secondo una stima ancora da verificare, avrebbe coinvolto l’uno per cento dei lavoratori della scuola. Il primo commento è anche il più ampio. Lo riporto: Se ci sono 835.500 insegnanti in Italia vuol dire che hanno scioperato in 8.355. Se li dividiamo per il numero dei Comuni italiani, che sono 7.904, otteniamo che in ogni Comune ha scioperato 1 insegnante virgola 05, cioè niente! Questi sindacati così soddisfatti, non avrebbero fatto meglio ad aspettare che si stabilisse una mobilitazione comune? Non sarebbe stato meglio che avessero aspettato ,invece di fare uno sciopero contro l’Invalsi a Invalsi finito e dare l’impressione al Governo che la Scuola appoggi il loro DL e che la preoccupazione degli insegnanti siano solo le prove Invalsi? E quegli 8.355 colleghi che ci sono cascati, saranno disposti a scendere nuovamente in piazza fra pochissimo giorni? Soltanto se ci uniamo possiamo fare qualcosa, se no subiamo ancora una volta e zitti!

Ritengo che queste affermazioni meritino una riflessione generale, in quanto emblematiche.

Cominciamo dai numeri, che, per loro natura, sembrano incontestabili. La scrivente, ad esempio, si dimentica del personale ATA. Quando si vuole essere precisi, è bene esserlo sino in fondo. Più che di un errore si tratta di un lapsus freudiano: molti docenti, infatti, considerano importante solo e soltanto il loro lavoro. Poi viene messa sotto accusa la “soddisfazione” dei sindacati: essa non riguarda, per la CUB scuola, i numeri dell’adesione allo sciopero ma piuttosto il fatto che abbia avuto inizio un percorso di mobilitazione su ragioni numerose e giuste.

Lo sforzo per costruire una “mobilitazione comune” questa volta (ed altre precedenti) c’è stato e non abbiamo più commesso l’errore di disorientare i lavoratori proponendo giornate di sciopero non unitario. Sarebbe inoltre anche bene, prima di criticare le motivazioni di uno sciopero, informarsi: le prove INVALSI erano uno dei motivi dello sciopero, in quanto prove che rappresentano un modo di insegnare e di apprendere che abbiamo, da quando esistono, contestato analiticamente in tante sedi e del quale vediamo, anno dopo anno, i frutti negativi.

Accanto e prima di tale motivazione si collocavano il mancato rinnovo del contratto, la protesta contro le spese militari, contro il precariato, contro la “riforma Bianchi” su reclutamento e formazione. Abbiamo diffuso, con impegno ancorché nei limiti delle nostre possibilità, materiali informativi dettagliati. Ricordiamo che al sindacalismo di base sono preclusi diritti sindacali fondamentali quali il diritto di convocare assemblee in orario di servizio e che quindi la nostra capacità di diffusione dell’informazione (nonché di proselitismo) viene molto limitata dalla mancanza di agibilità sindacale.

Quanto al fatto di “scendere in piazza tra pochissimi giorni” al seguito di più autorevoli sigle sindacali, staremo a vedere. Se l’azione sindacale dei sindacati “maggiormente rappresentativi” fosse stata in passato puntuale ed efficace non avremmo dovuto aspettare quasi dieci anni per un rinnovo contrattuale che ci ha elargito un aumento risibile (dopo dieci anni di blocco!) né saremmo, di nuovo, in grave ritardo sul rinnovo contrattuale.

Aggiungo che la forza di coinvolgimento delle masse è modestissima anche per CGIL, CISL, UIL. Riporto i dati dello sciopero del 10 dicembre 2021, sostenuto da ben nove sigle sindacali (Flc Cgil, Uil Scuola Rua, Snals Confsal, Fed. Gilda Unams, And, Anief, Cobas Comitati di Base della scuola, Cub Sur, Sisa, Fisi, con l’adesione di Aida Scuole e Movimento S.G.A.) e che quindi si avvicina di molto a quell’ideale sciopero “unitario” auspicato da tanti lavoratori. Il risultato fu un’adesione del 6,25%. a fronte del 70% circa di lavoratori rappresentati dai su elencati sindacati. A confronto con il 10 dicembre 2021 il 6 maggio, sembra ed è paradossale, abbiamo ottenuto un risultato apprezzabile!

Il confronto tra i due scioperi ci porta però ad individuare la causa vera del fallimento di ogni protesta: l’acquiescenza dei lavoratori, la mancanza di fiducia nella propria capacità di opporsi a ciò che il governo decide e, non ultima la disinformazione sugli aspetti che normano il proprio lavoro e sui meccanismi più elementari che lo regolano. Tant’è che, se uno spirito burlone inserisse nei test di selezione dei docenti una decina di semplici quesiti sul CCNL immagino che la percentuale di bocciati salirebbe di parecchio.

Frustrati, delusi, sottopagati i docenti si lamentano costantemente del proprio lavoro ma sono convinti di non poterlo modificare in meglio. E se la prendono con “i sindacati”, facendo di ogni erba un fascio, non distinguendo tra chi, per decenni, ha di fatto appoggiato la deriva in corso e chi, invece, si è costantemente e motivatamente opposto. Il sindacalismo di base ha avuto ragione nell’analisi precoce di quei processi che, a partire dai primi anni Novanta hanno reso la scuola quello che è oggi: una scuola di classe, recinto conflittuale di contenimento delle giovani generazione, luogo di trasmissione di un sapere sempre meno gratuito, sempre meno formativo e sempre più asservito al mercato.

Dove sono stati, in questi anni, i lavoratori della scuola che criticano “i sindacati”? Qual sono stati il loro apporto costruttivo e la loro critica puntuale? Una cosa è certa: sino a che si sarà severi nel giudicare le azioni altrui e molto indulgenti verso la propria ignavia nulla potrà cambiare in meglio.

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Redazione

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