La nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione, diventato Ministero dell’Istruzione e del Merito, sta facendo discutere fin dal suo annuncio avvenuto nel tardo pomeriggio di venerdì 21 ottobre, quando la premier incaricata Giorgia Meloni ha enunciato la lista dei ministri.
A fare una riflessione sul senso di questo cambiamento è stato lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati, fondatore della Scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana ai migranti, che è stato intervistato da La Repubblica. Anche lui si è mostrato abbastanza preoccupato sulla direzione che, a quanto pare, intende prendere il dicastero di Viale Trastevere. Nasce la scuola del merito? I docenti saranno pagati di più in base ai risultati ottenuti? Oppure l’accento sul merito si riferisce agli studenti e non agli insegnanti?
In attesa di chiarimenti dai diretti interessati e dallo stesso neoministro Giuseppe Valditara, ecco qual è il pensiero di Affinati: “Proviamo a immaginare che la parola sia riferita agli studenti. Tutti i docenti vorrebbero ottenere il massimo dai propri alunni, ma sappiamo che per farlo bisogna calcolare la stazione di partenza di ognuno”.
“L’articolo 34 della Costituzione italiana è molto chiaro: ‘La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, aggiunge Affinati.
“Oggi potrei pensare che vogliano riproporre l’idea di una scuola che deve scegliere i migliori attraverso prove selettive. Fosse così, cosa faremmo con quelli che non raggiungeranno gli obiettivi prefissati? Li spazzeremo via come foglie cadute dall’albero in un Paese che ha i più alti indici di dispersione scolastica con punte del trenta per cento negli istituti professionali del Meridione? Se così fosse, la scuola diventerebbe l’ospedale che vuole curare i sani e non i malati”, dichiara il docente, preoccupato dall’alto tasso di dispersione scolastica fatto registrare di recente in Italia.
Secondo quest’ultimo questo dovrebbe essere l’obiettivo della scuola: “Formare alla vita. Consegnare il testimone. Scoprire il futuro degli adolescenti che abbiamo di fronte, spesso a loro stessi ignoto. Se accostiamo la parola merito a quella di istruzione rischiamo di trasformare le nostre aule in campi di gara dove, dopo apposite performance chiamate interrogazioni, si stabiliscono gerarchie di valore fra chi vince e chi perde. Senza comprendere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, vale anche il contrario: vedere l’imperfezione incarnata dal compagno fragile può essere più formativo che gustare la solitudine del campione. Se non lo hanno recepito neppure gli adulti, come facciamo a farlo entrare nella testa dei giovani?”, ha concluso.
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