Lo scrittore Eraldo Affinati, che è anche docente di scuola superiore, ha rilasciato un’intervista a La Repubblica in cui ha parlato di scuola, riflettendo sul valore delle punizioni alla luce del nuovo ddl Sicurezza e parlando in generale di educazione. Ecco cosa ha detto.
Affinati ha esordito così: “Rispondere all’inquietudine dei giovani inasprendo le pene non servirà a niente”, questo il suo pensiero. Il ddl Sicurezza inasprisce le pene per chi fa sit-in o blocchi stradali. “Credo che la repressione di queste manifestazioni rischi di esacerbarle. Per evitare che si arrivi allo scontro, bisognerebbe agire in modo preventivo: lo diceva don Giovanni Bosco ai suoi tempi, ma lo pensano ancora oggi tanti educatori alle prese con ragazzi difficili. Ciò non significa che, di fronte al reato, dobbiamo lasciar correre. Ma, per come la vedo io, nel momento in cui puniamo, abbiamo già perso”.
“Molti adulti si limitano a indicare i precetti che i giovani devono rispettare, invece di incarnarli. Mancano i modelli di riferimento: un adolescente di oggi, in potenziale contatto col mondo intero, a me sembra molto più solo rispetto al passato”, questo un altro problema.
“Credo nella scuola: l’unica zona di resistenza etica presente nel Paese, grazie al contributo quotidiano di tanti insegnanti che, rimboccandosi le maniche, fanno una rivoluzione al giorno: pochi sanno cosa vuol dire oggi entrare in un’aula di venticinque alunni cercando di far brillare i loro occhi spenti”, ha concluso.
Qualche giorno fa la docente Valentina Petri ha discusso in merito alle difficoltà che incontrano gli insegnanti in classe: “Siamo esausti, nel senso proprio del participio passato del verbo exhaurire, quindi oltre che esausti siamo anche un po’ esauriti. I ragazzi ce lo dicono subito: ‘prof, è già esaurita’. Ci sono da fare gli esami di riparazione, con le cattedre vacanti e a volte gli alunni vacanti agli esami di riparazione; e poi ci sono i corsi di recupero o di potenziamento, i corsi antidispersione scolastica e quelli di alfabetizzazione per gli stranieri che in certi casi dovrebbero ampliare l’utenza anche a chi ha un nome che non evoca lidi lontani: tutti in pratici pacchetti di dieci ore”.
“Che nervoso quelli che la chiudono lì, dicendo che abbiamo poco da lamentarci perché il nostro non è un lavoro ma è una missione. Si adeguino un po’ ai tempi e usino anche loro l’inglese. Non si dice missione, si dice ‘mission’. Mission impossible“, ha chiosato, con molta ironia.
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