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Lo sportello pedagogico: fra ambiguità ed il rischio di abuso professionale

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Prima di diventare insegnante di sostegno alla scuola primaria e laurearmi successivamente in psicologia, ho trascorso diversi anni esercitando l’attività di pedagogista/educatore come libero professionista. Erano i primi anni duemila e, almeno nella mia zona, ad Empoli, non esistevano molti studi di questo tipo. La laurea relativa a questa professione era “Scienze dell’educazione”, quadriennale, con tre indirizzi specifici da scegliere durante il secondo biennio.

La tipologia del corso di laurea era  poco specialistica da un punto di vista disciplinare e  molto indefinita circa le competenze che alla fine del percorso il futuro educatore (o pedagogista) avrebbe acquisito; l’organizzazione del percorso formativo era simile ad un liceo pedagogico dove al suo interno coesistevano materie antropologiche, sociologiche, psicologiche, storiche e, ovviamente, pedagogiche. Nonostante la nitida indeterminatezza di questo percorso di studi era ben chiaro e definito, invece,  il messaggio che ci veniva fornito dai docenti: “ricordate che al termine di questo percorso non sarete psicologi!”

Cosa voleva dire questa affermazione? Semplicemente che, soprattutto avventurandosi nella libera professione, occorreva aver ben chiari i limiti del nostro agire che ci sono e sono molti, stando attenti non sconfinare nella professione di psicologo, regolamentata per legge e tutelata da uno specifico ordine.

Scienze dell’educazione nasceva dalla spoglie della vecchia pedagogia, una riforma vera e propria avvenuta negli anni ’60 e ’70,  nata dalla consapevolezza che lo studio delle realtà educative non poteva essere di esclusiva pertinenza della pedagogia (disciplina riflessiva) ma doveva essere anche ( e soprattutto) della psicologia e della sociologia che, in quanto scienze empiriche, forniscono i dati necessari affinché le analisi dei contesti e dell’intervento  formativo acquisiscano senso ed efficacia.

Quali erano i settori in cui il laureato in scienze dell’educazione, ad indirizzo educatore professionale, poteva lavorare in libera professione all’interno del suo studio privato o in collaborazione con gli enti? La risposta era semplice: l’intervento del professionista riguarda tutto ciò che ha a che fare con l’insegnamento, in modo da facilitare gli apprendimenti del soggetto di qualsiasi età e migliorare così il suo adattamento e la qualità della vita.

Ho messo in evidenza “insegnamento” e mi sono limitato a dire “facilitare l’ apprendimento” per un motivo semplice: intervenire sui meccanismi di apprendimento del soggetto, al fine di riabilitare una funzione deficitaria, rappresenta anch’essa una competenza dello psicologo.

Occorreva fare attenzione quindi perché, non solo il laureato in scienze dell’educazione non poteva intervenire per modificare il comportamento del soggetto attraverso la relazione, analizzando i vissuti, facendo emergere contenuti di natura emotiva, esistenziali e motivazionali, ma non poteva neppure intervenire per ri-abilitare una funzione cognitiva deficitaria. Oltre a questo occorreva, nella altre sfere dell’apprendimento (linguistiche e motorie in primis), limitarsi a proporre attività di carattere ludico ed educativo perché il tentativo di intervenire in senso riabilitativo, anche qui, rischiava di far entrare l’educatore in  conflitto con i professionisti dell’ambito sanitario, come psicomotricisti e logopedisti.

Nonostante i grossi limiti, le possibilità professionali si configuravano ed erano suggestive perché era possibile lavorare intervenendo a livello didattico, creare metodi di insegnamento sempre diversi e facilitare l’apprendimento sia delle discipline scolastiche, sia favorendo  l’acquisizione di competenze sociali negli alunni, anche attraverso strategie create su misura .

Con il tempo però è avvenuto che, essendo questa professione non protetta da un ordine professionale, molte persone,  pur non avendo una competenza specifica in materia, hanno iniziato a svolgere lo stesso tipo di lavoro del laureato in scienze dell’educazione, aumentando di molto l’offerta con un conseguente ribasso dei prezzi ed uno snaturamento del lavoro educativo che assumeva sempre di più la forma della semplice “ripetizione”.

Molti colleghi allora, invece di specializzarsi e migliorare la qualità del lavoro educativo, hanno deciso di cambiare rotta, addentrandosi in territori che non rientrano nelle competenze dell’educatore/pedagogista, andando a scimmiottare le competenze di altri professionisti. Modificando leggermente il lessico ed utilizzando sigle diverse, sono nati così interventi “bizzarri”, raramente (e per ovvie ragioni), sostenuti dalla letteratura scientifica: sportello per il sostegno-pedagogico, intervento pedagogico-emozionale, intervento pedagogico-affettivo,  assessment pedagogico clinico,  Diagnosi pedagogico-clinica, counseling pedagogico, ecc.

Si è pensato, in modo molto infantile, che bastasse sostituire la parola pedagogia al prefisso “psico” per potersi sentire più professionisti.

Sì. Professionisti dell’abusivismo.

Il dramma è che sorgono, soprattutto nelle scuole, sportelli di ascolto di questo tipo in cui, non psicologi, si prefiggono di fornire   ascolto e sostegno al ruolo genitoriale, comprensione dei bisogni dei figli, interventi atti a  riconoscere ed interpretare le manifestazioni di disagio dei minori; vengono offerte indicazioni per affrontare situazioni di disagio emotivo oltre a dare indicazioni per affrontare situazioni di disagio cognitivo.

Purtroppo non regge la vecchia scusa in cui se  l’educatore o il pedagogista dovessero rendersi   conto che  nel minore o nell’adulto in carico  fossero presenti problemi di natura psichica allora si adopererebbero per inviare la persona in questione dallo psicologo. Non regge per il semplice fatto che per stabilire se vi sia o meno un disagio psicologico occorre una diagnosi differenziale, atto questo che non rientra certo nelle competenze dell’educatore o del pedagogista.

E’ opportuno, nella tutela di tutti, ricordare che è sufficiente il fine di “incidere sulla sfera psichica” per configurarsi l’abuso della professione di psicologo.

E’ quanto ha stabilito una recente sentenza della Cassazione penale depositata il 22 Agosto 2017, la n.39339 (che ha condannato in via definitiva il fondatore del “percorso di crescita personale” dell’associazione Archeon e i suoi collaboratori).

In pratica non è necessario che il soggetto non qualificato si avvalga delle metodologie proprie della professione psicoterapeutica, ma è sufficiente che la sua azione incida sulla sfera psichica del paziente con lo scopo di indurne una modificazione che potrebbe risultare dannosa.

Significa inoltre che la legge si è espressa anche sul fatto che un abusivo non può difendersi dicendo che non faceva diagnosi (la Cassazione ha sottolineato anche che intrattenere approfonditi colloqui “su aspetti intimi della vita dei pazienti, per diagnosticare problematiche psicologiche eventualmente all’origine di disturbi da loro lamentati” è già attività di diagnosi psicologica).

E non può nemmeno sostenere di non commettere abuso poiché non utilizza “tecniche psicologiche”, se il fine dell’attività prestata è quello di modificare la sfera psichica del soggetto.

Mi auguro vivamente che con il tempo gli educatori e i pedagogisti si riapproprino del terreno di loro competenza, ovvero sia l’insegnamento e la didattica, mirando ad intervenire per creare strategie funzionali per migliorare l’apprendimento delle discipline e favorire l’acquisizione delle competenze sociali.

Gli educatori potrebbero rafforzare, almeno per quanto riguarda il settore dei minori, la proposta relativa ai progetti all’interno delle classi, in modo da contribuire a creare didattiche migliori e più efficaci, affiancando l’insegnante anche nella promozione di nuove discipline (ad esempio di natura corporea, artistica, musicale, espressiva, teatrale, ecc).

Se questo non avverrà continueranno a crearsi situazioni di sconfinamento professionale, di ambiguità nell’offerta dei servizi, creando disorientamenti negli utenti e conflitti fra figure professionali diverse.

Andrea Guerrini