Le tasse universitarie pagate dagli studenti coprono ormai poco meno del 20 per cento dei finanziamenti complessivi necessari agli atenei per il loro funzionamento.
Lo rivela uno studio dell’Istat contenuto nel volume Lo stato dell’Università; scopo della pubblicazione è quello di fornire un quadro il più possibile esauriente dell’andamento del sistema accademico italiano nel corso degli ultimi dieci anni, con riferimento a vari aspetti: le risorse finanziarie di cui dispone, il personale, gli studenti iscritti nei vari corsi di studio, i laureati ed i loro sbocchi professionali.
La ricerca dell’Istat mette in evidenza un problema cronico del nostro sistema universitario: l’offerta di borse di studio è del tutto insufficiente a far fronte alla domanda degli aventi diritto (idonei nelle graduatorie).
Mediamente 61 studenti su 100 aventi diritto rimangono esclusi dal beneficio, pur avendo i requisiti economici e di merito per potervi accedere.
Un altro dato di estremo interesse riguarda l’andamento della popolazione studentesca che, per la prima volta dopo tanti anni, nel 1996/97 diminuisce di quasi un punto percentuale rispetto all’anno precedente da 1.686.000 a 1.672.000.
Va tuttavia segnalato che tale calo riguarda solamente i corsi tradizionali (da 4 a 6 anni di durata), mentre gli iscritti ai cicli brevi (corsi di diploma e scuole dirette a fini speciali, di durata compresa tra i 2 e i 3 anni) sono aumentati del 15 per cento.
La percentuale dei neo-diplomati che iniziano un corso universitario supera costantemente il 40 per cento, valore inferiore solo a quello registrato dal sistema scolastico spagnolo (43%), ma assai superiore a quello della Gran Bretagna (27%) o dellla Francia (31%).
"Il fenomeno – affermano i ricercatori dell’Istat estensori del rapporto – si spiega certamente, in parte, con la ‘cattiva accoglienza’ che il mercato del lavoro riserva ai diplomati della scuola secondaria: le difficoltà occupazionali sperimentate dai maturi italiani costituiscono infatti un grosso incentivo a proseguire gli studi. Esso ha però a che vedere anche con la mancanza di un sistema di istruzione terziario realmente alternativo a quello accademico".
In Italia, infatti, a conclusione della scuola superiore, le possibilità formative sono quasi esclusivamente di tipo universitario (fanno eccezione i conservatori e le accademie).
Qualche opportunità in più è nata solo recentemente grazie ai corsi di formazione professionale di secondo livello, di cui proprio in questi giorni il Ministero ha fornito un elenco completo e aggiornato (sono 238 distribuiti su tutto il territorio nazionale e riguardano almeno 80 diverse figure professionali in 14 aree diverse, dalla pubblica amministrazione al commercio, dall’area tecnica, a quelle della produzione e dei servizi): rilanciando questo tipo di corsi il MPI si augura di avvicinare la formazione superiore agli standard europei.
In Francia, per esempio, un analogo percorso di formazione in Francia, denominato STS (sezione di tecnici superiori) consente all’85% dei giovani di trovare lavoro entro 6 mesi dal conseguimento del relativo brevetto.
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