Stanno arrivando, alla spicciolata, i docenti supplenti nelle scuole.
Un po’ alla volta, con molta fatica, vengono completati gli organici, anche se alcuni buchi faticano a trovare una soluzione.
Gli uffici provinciali rimandano alle scuole le cattedre non coperte e gli spezzoni, e le scuole, dopo le proprie graduatorie, sperano di chiudere il cerchio con le “messe a disposizione”, cioè col terno al lotto.
E’ così da anni, nonostante le promesse di una partenza dell’anno scolastico col tutti in classe.
Cinque province hanno sperimentato, o stanno ancora sperimentando, una gestione coordinata, con scuole-polo, delle nomine dei supplenti e del personale tutto.
Un gran lavoro per il quale vanno ringraziati un po’ tutti: dai dirigenti provinciali in primis ai presidi delle scuole-polo al personale. Un gran lavoro.
Resta la domanda: ma ha ancora senso procedere in questi termini?
Ha ancora senso seguire un percorso meramente burocratico di selezione e nomina del personale della scuola? Hanno ancora senso le procedure di concorso che conosciamo? Per poi far entrare, nelle classi, docenti supplenti senza alcun filtro?
E’ possibile che, ancora oggi, vedendo ciò che succede in tutto il mondo del lavoro, si preferisca l’approccio meramente burocratico, che è indifferente alla effettiva capacità del personale in relazione alla professione docente o amministrativa o ausiliaria. Per non parlare del profilo dirigenziale, con un test d’ingresso che, nei fatti, ha falcidiato soprattutto coloro che non hanno prontezza di memoria, senza pensare agli aspetti, ben più importanti, del lavoro di un preside.
Ieri, incontrando la trentina di docenti che sono entrati quest’anno nella mia scuola, ho ricordato che hanno fatto una libera scelta, però in un istituto che già si è dato un profilo formativo, uno stile educativo, secondo alcune priorità didattiche e organizzative. Per cui hanno scelto di entrare in una realtà che, magari, non hanno mai avuto occasione di conoscere, se non per sentito dire. Del resto, è noto che un Liceo è ambito tra i docenti, per le ragioni che sappiamo. Ma dovrebbe essere chiaro che una scuola è una comunità, ed in una comunità si entra mettendosi in gioco, non pretendendo un proprio spazio di una “libertà di insegnamento” male interpretata.
Alla scuola di oggi, dalle parti del ministero, manca (o così si percepisce dalle periferie) una visione di insieme sulle prospettive a medio termine, mancano precisi investimenti sugli spazi scolastici, oltre i rattoppi e qualche scuola nuova, manca una selezione del personale fatta su profili chiari delle capacità necessarie per una professione delicata, manca, infine, ed è la cosa più grave, un sistema di valutazione terzo rispetto al ruolo dei presidi, dei pochi ispettori e degli uffici contenziosi delle sedi periferiche.
Manca, cioè, un governo della scuola, lasciata alla buona volontà e alla sensibilità di chi ci lavora.
Sugli stipendi, di cui tanto si parla? Senza un carriera docente, ad esempio, è ovvio che gli stipendi gridino vendetta. Ma gli stipendi non sono adeguati perché manca una carriera, manca cioè un profilo qualitativo secondo step e verifiche trasparenti. Nulla c’è di questo.
Insomma, la scuola cioè, mi sono permesso di ieri ai nuovi docenti che hanno scelto il mio istituto, è centrata sui docenti, non sugli studenti. Non, cioè, sul bene-studenti, con un servizio pubblico tutto proteso. A parte la straordinaria buona volontà di tanti e tanti, tra presidi, docenti e personale.
Parlo della scuola-organizzazione, non della scuola-passione di noi tutti.
E’ giusto che la scuola anche oggi si basi solo sulla buona volontà, sulla dedizione e sensibilità di chi entra in classe con responsabilità? Perché non riconoscere queste qualità di chi tiene in piedi la scuola italiana, nonostante tutto e tutti?
Quando si uscirà dal nostro modello assistenzialistico?