Mentre ha trovato, in qualche modo, una soluzione la vicenda delle due banche venete (Popolare vicentina e Veneto Banca), con risvolti che gridano vendetta, via web e sulla stampa si sono fatti strada i costi reali di tutta l’operazione, oltre 5 miliardi, cioè più di 700 euro per famiglia.
E perché mai, questa la domanda, lo Stato è disposto a spendere così tanto per salvare le banche, mentre per le scuole, come primo investimento sulla tanto sbandierata innovazione didattica, come sulle strutture, siamo il fanalino di coda dei Paesi avanzati?
Lasciamo, ovviamente, alla libera discussione il giudizio sui pro e contro su tutta questa vicenda, che ha messo in ginocchio, è giusto ribadirlo, migliaia di famiglie venete, visto come sono stati bruciati i risparmi di una vita.
Uno scandalo, per il quale i vari Zonin e Consoli, capi delle due banche, non hanno ancora mostrato un benché minimo atto di responsabilità pubblica.
Ma perché, ripeto la domanda che circola, lo Stato non fa lo stesso per le scuole?
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Sapendo che la qualità della formazione è il vero cuore di un Paese che non teme le nuove sfide locali e globali? Nel senso, soprattutto, che la formazione è e sarà sempre più il differenziale ed il discrimine capace di prevenire le diseguaglianze?
Belle domande, che dovrebbero impegnare tutti i partiti e gli opinion leader, al di lá del solito “dimmi quello che vuoi sentirti dire” della nostra campagna elettorale.
A Vicenza, nel frattempo, lo Stato, attraverso il suo ente intermedio (la Provincia) che sembrava destinato alla scomparsa, ha scelto di investire sulla sicurezza delle scuole superiori, con uno stanziamento straordinario di 30 milioni di euro, provenienti dalla vendita di parte delle proprie quote autostradali.
Una scelta coraggiosa, dati i tempi, viste le magre casse delle stesse Province.
Precisamente, 21 milioni per le scuole ed il resto per le infrastrutture stradali e le ciclovie che convergono intorno ai sei poli scolastici delle scuole superiori.
Questi sei poli coinvolgono 40.000 studenti, 2.000 in meno rispetto allo scorso anno, segno evidente di una curva demografica in atto.
Sicurezza e vulnerabilità sismica di tutti gli edifici, dunque. Per questo motivo sono state fatte dai tecnici, in questi ultimi mesi, le radiografie di ben 148 edifici, mentre l’esame sulla vulnerabilità sismica ha coinvolto in particolare 53 edifici.
Se in Italia il 92% delle scuole ad oggi non ha il certificato antisismico, anche se il vicentino è classificato di categoria 3/5, la provincia di Vicenza ha deciso di verificare comunque i rischi reali, e di procedere alla messa in sicurezza, integrando le risorse già previste dal governo, con i suoi 80 milioni a livello nazionale, per garantire a tutti il certificato prevenzione incendi (CPI).
Nel vicentino solo il 30% delle scuole non ha il CPI, dato dunque inferiore a quello nazionale. Il problema è che l’80% degli edifici ha più di 50 anni.
Come si vede, una scelta positiva, quella della Provincia di Vicenza, presentata di recente dal presidente Variati e dal consigliere delegato Tosetto.
Restano le questioni aperte, legate alla richiesta di nuove strutture scolastiche, possibilmente in linea col modello dei campus, e, prima ancora, alla manutenzione ordinaria, che le scuole tutte devono affrontare anche in queste settimane, per preparare al meglio il prossimo anno scolastico. Per queste manutenzioni, i contributi annuali della stessa Provincia sono e rimangono non sempre adeguati, tanto che le scuole sono costrette a farvi fronte attingendo dal “contributo” che sono costrette a chiedere ogni anno alle famiglie.
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