Dal prof Vincenzo Musacchio, presidente della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise, giurista e docente di diritto penale, nonché impegnato nella diffusione di materiali contro la corruzione, la criminalità organizzata e i delitti dei colletti bianchi, ci arriva una intervista, raccolta da Lucia De Sanctis, sui problemi che riguardano le mafie, con i suoi intrecci malavitosi, e la possibile funzione dell’istruzione per sconfiggerle.
Partiamo da una domanda a bruciapelo: secondo Lei ha fatto più progressi lo Stato nella lotta alla criminalità organizzata o quest’ultima a infiltrarsi nelle Istituzioni pubbliche?
In Italia abbiamo fatto molti progressi nella lotta alle mafie grazie alla genialità di uomini come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Penso soprattutto alla legislazione antimafia frutto delle loro acutissime intuizioni. Da allora ad oggi credo che l’antimafia, in primis quella delle istituzioni, sia ferma al palo. Occorre ripartire dal loro impegno e ritengo che bisogna lavorare ancora molto. Al momento mi sento di dire che nella lotta contro la criminalità organizzata stiamo perdendo ma non perché siamo meno forti ma perché non vogliamo utilizzare le nostre migliori forze umane e legislative.
Come si sono evolute le mafie in questi ultimi anni?
Sono diventate “classe dirigente”. I continui e costanti rapporti con la politica non solo non sono stati recisi ma addirittura vi sono situazioni che fanno ritenere che i collegamenti con la politica, il mondo imprenditoriale e professionale continuino a essere e a rimanere molto saldi. Si stanno creando nuovi centri di potere, riciclando uomini politici che hanno avuto e continuano ad avere rapporti stretti con la criminalità organizzata. Le metamorfosi continue delle mafie fanno si che non si sia ancora in grado di conoscere il livello di coinvolgimento di quelle persone che non appartengano all’ala militare (il cd. terzo livello). Sappiamo ancora pochissimo di chi decide le strategie politico-mafiose al punto tale da destabilizzare, in alcuni casi, persino le fondamenta dello Stato democratico. Ad oggi non conosciamo il nome dei veri mandanti di tutte le stragi mafiose e non sappiamo per quali ragioni, oltre a quelle dette dai collaboratori di giustizia, si sono dovuti assassinare uomini come Chinnici, Falcone, Borsellino e tantissime altre vittime impegnate soprattutto al far luce sul cd. terzo livello. Tutto ciò ha mostrato l’esistenza di una mafia silente, che non ha bisogno di omicidi o di fatti di sangue eclatanti per imporre la propria volontà. Il panorama mafioso è notevolmente cambiato. Condivido pienamente il parere del magistrato Vittorio Teresi sul fatto che la mafia guazza in una palude di cui fa parte anche il mondo delle professioni, pronto a mettere a disposizione le proprie conoscenze per reinvestire e riciclare capitali illeciti con lo scopo di consentire all’organizzazione criminale di moltiplicare i guadagni e di fortificarsi sempre di più. Le mafie stanno cambiando il proprio dna utilizzando al minimo indispensabile il loro potere militare e al massimo quello economico e politico, che è sempre più forte e dimostra un attivismo particolarmente pericoloso. Su questo terzo livello indirettamente Paolo Borsellino ne afferma l’esistenza quando asserisce testualmente: “Non sarà la mafia a uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c’è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno, ci sono anche miei colleghi”. Prima di lui, Rocco Chinnici teorizzò per primo l’esistenza del terzo livello cioè quella zona grigia in cui s’intrecciano i rapporti tra mafia e politica, ma, a quanto pare, da allora a oggi è cambiato ben poco.
In alcuni suoi scritti lei parla di legami tra mafie e massoneria. Che cosa lega queste due entità?
Antonino Caponnetto mi raccontò che Giovanni Falcone seguiva con grande attenzione gli “affari” di Licio Gelli e della cd. “Loggia P2”. Quando accettò l’incarico di direttore generale degli affari penali al Ministero di Grazia e Giustizia, si era portato a Roma i fascicoli di una delle ultime inchieste riguardante i rapporti tra mafia e massoneria avviate quando era procuratore aggiunto a Palermo. Giovanni Falcone, allora giudice istruttore, scoprì che, tra i massoni, insieme a noti mafiosi, c’erano anche decine di nomi della Palermo che contava. Alla massoneria sembrano portare anche le più recenti indagini sui flussi di riciclaggio degli immensi patrimoni illegali delle mafie. Credo che la finalità ultima del legame tra mafie e massoneria sia quella di entrare nelle “stanze dei bottoni” per decidere la destinazione delle immense risorse di denaro pubblico da destinare alla criminalità organizzata.
Nella lotta alle mafie quali sono gli strumenti che funzionano e quali sono superati?
Senza dubbi lo strumento ancora necessario resta quello del “pentitismo”. Senza di esso forse oggi staremmo ancora a chiederci chi sono i capi delle varie organizzazioni mafiose. Lo strumento che temono moltissimo i mafiosi, invece, è quello del sequestro e della confisca dei beni illecitamente conseguiti. Come afferma spesso il giudice Davigo occorrono deterrenti efficaci ed effettivi. Delinquere deve essere sconveniente. Per far ciò occorrono profonde riforme nel settore “giustizia” che devono coinvolgere il diritto e il processo penale, il sistema giudiziario e penitenziario e il sistema della prevenzione e dei controlli.
Ha appena parlato di pentiti, ma che fine hanno fatto? Funziona ancora la legislazione che li riguarda?
Come ho detto in precedenza i collaboratori di giustizia hanno avuto un ruolo importantissimo. Occorre mettere mano nuovamente alla legislazione che li riguarda per fare in modo che le condizioni per collaborare siano ancor più favorevoli. Estenderei il sistema anche ai corrotti che sono strettamente legati alle mafie. Un altro strumento investigativo che rafforzerei è quello delle intercettazioni e delle pene accessorie. Le mafie non dimentichiamolo sono anche il prodotto di una mentalità perversa. Per combatterle oggi bisogna lottare anche la corruzione politica. Le mafie s’infiltrano nei gangli delle istituzioni pubbliche e nella pubblica amministrazione perché da sempre cercano legittimazione e approvazione sociale.
Le mafie sono solo un fenomeno italiano?
Assolutamente no! Le mafie si sono internazionalizzate sono presenti e forti in quasi tutti i Paesi dell’Unione europea. Le mafie hanno alleanze ovunque, sono ormai un fenomeno globale mentre gli organismi che le dovrebbero lottare sono disomogenei e non coordinati. La nostra legislazione antimafia, nonostante sia da aggiornare, è oggi la più moderna e andrebbe estesa perlomeno in ambito europeo.
Quando ha scelto di divulgare la legalità nelle scuole e perché?
Quando ho conosciuto Antonino Caponnetto. Ha toccato il mio cuore e con lui sono stato in alcune scuole a parlare di lotta alla mafia e di legalità fino a quando ha dovuto abbandonare per motivi di salute. Credo fermamente nella possibilità di combattere le mafie, attraverso la cultura della legalità, della verità e della consapevolezza. Ho scelto questa strada da quasi venticinque anni e spero di continuare a percorrerla ancora a lungo. Non riuscirei più a tirarmi indietro: per assurdo direi che è come l’aria che respiro. Non ha senso vivere senza agire nel concreto. Nonostante le privazioni che inevitabilmente vivo, parlare ai ragazzi mi appassiona e mi entusiasma molto. Lo faccio anche – come diceva il Generale Dalla Chiesa – perché certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli.
Quali sono i pericoli dai quali deve guardarsi?
Certamente non sono i pericoli cui si espone un magistrato o un appartenente alle forze di polizia. Per quanto mi riguarda, uno dei pochissimi crucci è la mia assenza in famiglia, anche se mia figlia di soli sei anni spesso mi segue e devo dire “germoglia” con sani principi che mi auguro possa mantenere crescendo. Più in dettaglio posso dire di aver subito intimidazioni, danneggiamenti alle auto di famiglia, lettere minatorie, ma, ovviamente, nulla che possa essere paragonato a chi lotta le mafie in prima linea.
Un giorno lo Stato vincerà le mafie?
Assolutamente si! Se non ne fossi convinto di questo, io in primis, come potrei andare nelle scuole a parlare con i giovani? Il giudice Caponnetto mi ripeteva sempre, quasi allo sfinimento, che la conoscenza, la consapevolezza di ciò che viviamo, la ricerca della verità, sono indispensabili per compiere scelte di vita. Mi stimolava ricordandomi quanto fosse necessario coinvolgere più gente possibile partendo dalle nuove generazioni. Il suo monito era: “Lo Stato siamo noi non dimentichiamolo mai”. Ai ragazzi diceva sempre: “Lottate le mafie studiando, è l’arma più potente che avete”. A mio giudizio, se l’Italia vuole avere successo nella lotta alle mafie, dovrà sostenere nuovi valori sociali ed etici, occorreranno meccanismi formativi che dovranno assolutamente rappresentare una negazione piena dei modi mafiosi e corrotti in atto nel nostro Paese. Tali azioni dovranno rafforzare positivamente l’idea d’integrità, di onestà, di trasparenza e di professionalità tenendo conto di chi sceglie di violare le regole. Al fine di creare tali modalità, tuttavia, spetta a noi cittadini chiedere conto dei comportamenti di leader politici, funzionari pubblici e imprenditori che operano nel pubblico. E questa richiesta deve essere non una regola, una tantum ma fissa e costante del tempo, soprattutto nei momenti difficili di transizione politica o di recessione economica, quando le tentazioni di corruzione e di aggressioni mafiose sono altamente probabili. Traducendo queste poche idee in azioni concrete si potrà essere in grado di combattere le mafie e portare a uno sviluppo sostenibile di lungo termine a vantaggio di tutti i settori della società civile. Non nascondo che questa sia la mia speranza e la convinzione che le discussioni su tali argomenti nei prossimi anni possano aprire la strada per un programma politico, sociale ed economico trasformativo, che sfrutti l’energia della prossima generazione e chiami a rapporto tutti per provare a costruire una società libera da mafie e corruzione e fondata sulle regole, sulle responsabilità, sul merito e sull’onestà. In tutto questo lo Stato non potrà non fare la sua parte altrimenti si potrà dire senza timori di smentite che sia totalmente colluso con le mafie e voglia la corruzione come modus vivendi.
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