Non più una scuola centralizzata e gerarchica, ma una scuola più libera ed autonoma (dal punto di didattico, gestionale, amministrativo e finanziario – almeno in teoria -), pronta a tenere conto delle specificità e delle peculiarità territoriali.
Questo il grande risultato del legislatore negli anni ‘90.
Certo, vi erano degli indicatori nazionali a cui occorreva, sempre, almeno sulla carta, far riferimento, però, finalmente, in un’epoca esaltante (ed esaltato) di decentramento ogni scuola era libera di agire secondo le sue inclinazioni e in un clima di interazione con le realtà sociali ed economiche del territorio.
In seguito si è fatto ancora di più. Ai pesanti e impolverati programmi ministeriali, calati e imposti dall’alto, si sono sostituite le più leggere e flessibili linee guida e indicazioni nazionali. Una sorta di ‘consigli’ a cui le scuole, pur nella loro autonomia e libertà e senza troppa rigidità, dovevano attenersi (o almeno prenderne atto) per far sì che la scuola italiana non diventasse troppo disomogenea.
Il tutto per restare sempre più al passo con le sfide del futuro.
Non entriamo nel dibattito se questi interventi abbiano veramente migliorata la scuola o no (non è questo il momento), ricordiamo soltanto che, comunque, anche la Carta Costituzionale garantisce libertà di insegnamento (all’interno, ovviamente di norme generali).
Vorremmo invece sottolineare che lo Stato, in realtà, ha cercato, negli anni di contenere lo spazio di manovra concesso prima alle scuole (forse mancanza di fiducia?) ed è tornato ad imporre, in modo in apparenza più leggero, ‘dall’alto’ mirati controlli. Si chiamano prove INVALSI.
Le famose prove INVALSI (presenti, seppure con modalità diverse, in quasi tutta Europa), tese a controllare e monitorare costantemente, a livello nazionale e attraverso test e obiettivi uguali per tutte le scuole della Repubblica Italiana, il livello di preparazione, in base a precisi e specifici indicatori, dei nostri ragazzi e, teoricamente, ad agire in base ai risultati ottenuti ( per migliorarli e perfezionarli).
Ora, nella ‘mia vecchia scuola’ la preparazione dei ragazzi era facilmente deducibile dai risultati di fine anno, dagli esiti degli esami di maturità,dal numero di discenti che abbandonavano gli studi durante l’anno scolastico, dal numero di laureati ‘veri’ ( preparati e validi) che uscivano, in seguito ,dalle università. Anche, semplicemente, da questa raccolta dati si capiva (e si capisce tutt’ora) se il discente sapesse contare, leggere, comprendere un testo, scrivere (leggere, scrivere e fare di conto) o fosse all’oscuro di tutto questo. Capisco però che il mio punto di vista è ormai obsoleto e superato.
In verità, occorre evidenziarlo, all’inizio tali prove non erano seriamente considerate, non avevano peso sulla valutazione complessiva degli alunni (tanto meno sugli esami di Stato ) e non erano, se vogliamo essere sinceri ( per varie ragioni ) del tutto veritiere ( i risultati emersi non corrispondevano, spesso, alla ‘realtà effettuale’ ).
Non venivano opportunamente valorizzate ed esisteva, probabilmente, una dicotomia tra i programmi svolti in classe e queste prove ‘fastidiose’ che provenivano dal Centro.
Ora, però, tutto sembra cambiare e, in tempi brevi, le prove INVALSI (frutto di un generoso e puntiglioso lavoro di menti geniali), potrebbero contare di più e arrivare a costituire un elemento fondamentale (una colonna portante) della scuola (insieme a progetti di ogni tipo, attività di alternanza scuola-lavoro e molto altro ancora ). Diverrebbero un ‘ostacolo’ a cui prestare attenzione e il cui superamento influirebbe sensibilmente sulla valutazione intermedia e finale dell’allievo.
Se così sarà, bisognerà, allora, adeguare i programmi (o le linee programmatiche) a quanto richiesto dalle domande INVALSI e dedicare magari ore e ore di esercizio per insegnare agli alunni ad affrontare con attenzione e impegno tali ‘esami’.
Bisognerà farlo, soprattutto alla luce dei desolanti risultati (ma su questo non tutti sono d’accordo) riscontrati nelle ultime sessioni di questi ‘esami particolari’.
Certo l’Ente adibito a preparare le prove dovrà fornire utili e non trascurabili consigli agli allievi su come evitare certi grossolani e sconcertanti errori e, forse, anche rivedere i quesiti posti e la loro formulazione.
Ma il compito di preparare bene i ragazzi alle competenze richieste ricadrà inevitabilmente sui docenti, passibili, e se non eseguissero adeguatamente il loro dovere, di essere messi al rogo (ho sentito già più volte qualcosa di simile da voci di presunti sapenti ).
Riusciranno delle prove INVALSI rinnovate e a dissipare le tenebre dell’ignoranza per far trionfare la conoscenza, la capacità e la competenza?
Al di là delle ottimistiche dichiarazioni dei ‘sapienti’, qualche dubbio onestamente rimane.
Sembra quasi un ritorno all’antico, una scuola verticale e controllata dall’Alto.
Sembra, ma non è così, è altro. Non è la mia scuola, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ma senza INVALSI (quella è morta per sempre, come tutto, nella vita, muore o cambia). Non è la mia scuola che da tempo, ormai, senza alcuna speranza ma con realistica rassegnazione, ricordo e rimpiango.
Andrea Ceriani