I lettori ci scrivono

Lo stipendio dei docenti non è una variabile indipendente

Ha suscitato sconcerto la sperequazione fra gli aumenti stipendiali annunciati dal ministro Fedeli in favore degli insegnanti (circa 80 euro lordi al mese) e quelli previsti per i dirigenti (circa quattrocento netti). Le reazioni degli insegnanti di fronte a questa forbice sono state veementi, e si sono tradotte in richieste di aumenti più sensibili, notevolmente superiori a quelli, invero modesti soprattutto se si pensa alla lunga vacanza contrattuale, resi noti dal ministro.

Ma gli stipendi non sono una variabile indipendente. Essi si ricollegano a fattori quali la condizione economica generale, l’immagine pubblica della categoria, e soprattutto il profilo professionale della medesima.
Quest’ultimo altro non è che l’insieme degli elementi che giuridicamente definiscono la professione, elementi cui di seguito ci vogliamo riferire usando il metodo scolastico medioevale della “teologia negativa”.
Godono gli insegnanti di una contrattazione separata all’interno del comparto scuola? No. Hanno gli insegnanti forme di autogoverno? No. Un ordine professionale? No. Il riconoscimento di professione usurante? No. Un aggancio alle retribuzioni di altre categorie che garantisca l’automatismo degli incrementi stipendiali? No. Strumenti giuridici che attenuino gli effetti della “privatizzazione”? No. Una rigida definizione delle mansioni che collochi queste ultime in un ambito squisitamente culturale? No. Possibilità di eleggere i propri superiori gerarchici? No. Efficaci tutele in caso di procedimenti disciplinari a loro carico? No.
Rimosse tutte queste teoriche possibilità per viam negationis, cosa rimane? Rimane l’impiegato. Un impiegato sui generis, ma che sempre impiegato è.

Vorrei ora qui ricordare, con stima e rimpianto, colui che per ultimo, in anni ormai lontani, aveva cercato di ottenere per i docenti uno status professionale di dignitoso profilo, opponendosi alla travettizzazione già allora in atto. Parlo del geniale Sandro Gigliotti e della “sua” Gilda.
Dopo la sua prematura scomparsa, nessuno ha avuto il coraggio di raccogliere e fare propria quella bandiera: non i partiti, non le associazioni (se non pochissime), e meno che meno i sindacati, i quali hanno tutto l’interesse a mantenere i docenti in uno stato di minorità onde salvaguardare se stessi e i loro compiti di tutela in favore del minus habens in cattedra.
La Destra, nella quale chi scrive idealmente si riconosce, ha avuto due legislature consecutive per percorrere questa strada, eppure si è ben guardata non di dice dal percorrerla, ma neppure dall’imboccarla, non riuscendo a dialogare con gli insegnanti e conseguentemente consegnandoli nelle braccia della CGIL scuola, che proprio in quel decennio ha visto aumentare esponenzialmente i propri iscritti.
In luogo di riscoprire e valorizzare l’anima gentiliana della professione, la Destra si lasciò sedurre da suggestioni aziendalistiche, che poi erano e sono le stesse della Sinistra.

Svanita l’idea meravigliosa di Gigliotti, affermatosi definitivamente il modello aziendalistico e burocraticistico della Sinistra-Destra, ne consegue che l’istanza di un più dignitoso trattamento stipendiale manca oggi di una base solida: a lavoro da impiegato, stipendio da impiegato.
Inguaribili ottimisti, crediamo però di vedere degli spiragli di luce nella nebbia impiegatizia. Si tratta per esempio della nascita di piccoli sindacati non ideologizzati che raccolgono iscritti sempre più numerosi, dello smorzarsi nelle scuole di ogni tensione ideologica in favore di un atteggiamento fattivo e pragmatico, di gruppi di docenti che sui social manifestano un salutare fastidio per i sindacati tradizionali e che vorrebbero semplicemente fare il lavoro per il quale hanno studiato, senza essere subissati di mansioni organizzative e burocratiche alle quali non si sentono per niente vocati.

Tutto questo fa ben sperare. Riusciranno ad affermarsi queste linee di tendenza che abbastanza chiaramente si intravedono? Solo in questo caso, e per conseguenza, si potrà pensare a retribuzioni onorevoli.
                                                              di Alfonso Indelicato
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