Spesso si parla dell’insegnamento della storia a scuola e, soprattutto nel periodo della maturità, del grado di preparazione degli studenti italiani sugli eventi storici del secondo Novecento, spesso snobbati a causa della mancanza di tempo. Molte volte, in effetti, al quinto superiore si arriva, a stento, a toccare l’arco temporale corrispondente alla Seconda Guerra Mondiale.
“Mi piange il cuore”
Lo storico Gianni Oliva, su La Stampa, ha parlato proprio di questo, esprimendo la sua opinione: a suo avviso gli eventi storici più recenti hanno priorità. Ecco il suo intervento:
“Il problema sono davvero i giovani che non sanno molto (e spesso non sanno nulla) della Guerra Fredda, dell’Italia degli anni di piombo e di tritolo, del perché ci sono una Corea del Nord e una del Sud? O il problema è invece un sistema scolastico dove la storia in sé è poco in onore, e ancor più non è in onore la storia contemporanea? Siamo sinceri: qualsiasi studente ha sentito parlare della battaglia di Canne o della conquista delle Gallie, quasi nessuno di Aldo Moro o di piazza Fontana”.
“I giovani non hanno consapevolezza storica prima di tutto perché a scuola non si studiano le radici della contemporaneità e i programmi (al netto delle lodevoli eccezioni) si fermano alla soglia del secondo Dopoguerra, rimuovendo gli ottant’anni che hanno plasmato il mondo così com’è oggi”.
“La storia è diventata una materia secondaria dalla fine degli anni Sessanta: l’esame di maturità introdotto nel 1969, con il sorteggio di quattro materie orali, ne ha sancito l’emarginazione perché la storia è stata proposta sporadicamente solo nei licei classici, mai negli scientifici, nei tecnici o nei professionali. Una materia ‘che non si porta all’esame’ è una materia che non conta”.
“La seconda osservazione è il peso del pregiudizio secondo cui non si deve parlare dei fatti contemporanei perché altrimenti ‘si fa politica in classe’. Perché il passato recente dovrebbe essere oggetto di manipolazione ideologica e propaganda politica e, per questo essere escluso dalle aule?”.
“‘Il Novecento a scuola’ è rimasta un’affermazione di principio, soffocata dalla marginalità percepita della materia e da una società sempre più proiettata sulla rapidità del presente; la riforma del 2003 del ministro Moratti, con lo slogan
delle tre ‘i’ (inglese, informatica, impresa) ha fatto il resto”.
“Occorrono interventi drastici. Oggi i programmi ministeriali stabiliscono di studiare nella scuola primaria e media il percorso dell’umanità dalla preistoria al presente (dove si arriva, ovviamente…) e di ripeterlo con la stessa periodizzazione in quella secondaria. Perché non introdurre una diversa ripartizione nella scuola superiore? Nei primi due anni, grandi quadri di insieme che diano agli studenti i riferimenti macrostorici, in modo che sappiano orientarsi quando si parla di ‘mondo classico’, ‘democrazia ateniese’, ‘mondo comunale’, ‘rinascimento’, ecc.; nel triennio, invece, studio analitico dalla Rivoluzione francese ad oggi, con l’ultimo anno dedicato al periodo successivo al 1945”.
“Da storico, mi piange il cuore per ciò che si trascurerebbe: ma se non si può (o non si vuole) studiare tutto, almeno studiamo il periodo più recente, quello in cui il mondo, attraverso convulsioni, conflitti, elaborazioni, sintesi, drammi, si è ridefinito sino a diventare quello di oggi. Forse i giovani capirebbero meglio il presente, con le sue vulnerabilità e le sue contraddizioni, e imparerebbero a difendersi dalle semplificazioni faziose e dalle manipolazioni. Perché la coscienza del presente è figlia del passato prossimo, non del passato remoto: e se proprio bisogna scegliere tra Canne e il muro di Berlino…meglio il secondo!”, ha concluso.
La petizione
Nel frattempo su Twitter gira da giorni una petizione, fatta partire dal blog Frammenti di Storia, che al momento ha raggiunto quasi 20mila firme, così denominata: “A scuola vogliamo imparare anche gli ultimi 70 anni di Storia!”.
Ecco le motivazioni alla base della raccolta firme: “Ci rivolgiamo al ministero dell’Istruzione e del Merito, affinché si possa discutere seriamente di una necessaria riforma dei programmi didattici della scuola secondaria di secondo grado. Chiediamo che vengano inclusi con maggiore attenzione lo studio degli anni ‘50, ‘60, ‘70, ‘80 e ‘90, fino ad arrivare alle soglie del XXI secolo. Non in maniera superficiale e approssimativa come viene fatto ancora adesso, ma con metodo e serietà. E’ giunto il momento di agire e di provare ad aggiornare le cose. Riteniamo che non sia più sufficiente indignarsi di fronte alle statistiche, urge una presa di responsabilità da parte delle istituzioni preposte. Ne va della consapevolezza del dibattito pubblico, perché una società con una scarsa conoscenza del proprio passato prossimo, è condannata ad avere anche una scarsa capacità di interpretazione del presente. L’obiettivo finale è raggiungere le 100mila firme”.