Attualità

Lo strano avviso del SIDI, poi cancellato: “richiamo alle armi”. Un errore?

«Si informano gli utenti che sono stati introdotti i seguenti codici di assenza per il personale T.D.: – EN05 Congedo straordinario per richiamo alle armi in tempo di pace (Categoria ESONERI E CONGEDI STRAORDINARI)». È il testo di un avviso segnalatoci da un nostro lettore, ATA amministrativo in una scuola del Crotoniate. Sarebbe stato pubblicato — ma non abbiamo avuto la possibilità di trovarvi riscontro certo — sul SIDI (Sistema Informativo Dell’Istruzione) il 17 maggio 2022 e rimosso il 19. In effetti una foto dell’annuncio già circola sul web (ed è in possesso della nostra testata).

“Congedo straordinario per richiamo alle armi”

L’avviso è autentico? Se sì, è stato rimosso perché erroneo? In tal caso ne saremmo ben felici. Tuttavia ci chiediamo: cosa significherebbe la notizia, se riconfermata? Quanto noi cittadini siamo informati su eventuali preparativi attuati dal nostro Stato in vista di una guerra?

Di fatto il richiamo alle armi in tempo di pace esiste realmente. L’articolo 38 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, disciplina il “Congedo straordinario per richiamo alle armi”, statuendo che: «L’impiegato richiamato alle armi in tempo di pace per istruzione o per altre esigenze di carattere temporaneo è considerato in congedo straordinario per la durata del richiamo limitatamente un periodo massimo di due mesi». Il secondo comma aggiunge che «Per il richiamo alle armi in tempo di guerra si osservano le disposizioni delle leggi speciali»: evidentemente in caso di guerra verrebbero meno tutte le certezze; anche quelle di chi rinuncia oggi ad opporsi alla guerra perché certo della tutela di leggi e Costituzione. Ed è superfluo ricordare che i docenti scolastici in Italia dal 1993 sono inseriti nel Pubblico Impiego: dunque giuridicamente “impiegati” (benché ciò sia assurdo, come tante altre volte abbiamo scritto e spiegato), e perciò soggetti alle medesime leggi che riguardano gli impiegati.

“Aspettativa per servizio militare”

Il DPR di cui sopra regola anche, all’articolo 67, l’“Aspettativa per servizio militare”, chiarendo che «L’impiegato chiamato alle armi per adempiere agli obblighi di leva o per anticipazione del servizio di leva in seguito ad arruolamento volontario è collocato in aspettativa per servizio militare, senza assegni. L’impiegato richiamato alle armi in tempo di pace è collocato in aspettativa per il periodo eccedente i primi due mesi di richiamo; per il tempo eccedente tale periodo compete all’impiegato richiamato lo stipendio più favorevole tra quello civile e quello militare, oltre gli eventuali assegni personali di cui sia provvisto. Il tempo trascorso in aspettativa è computato per intero ai fini della progressione in carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza».

Grandi manovre militari (contestate) in Sardegna

Per il momento, come abbiamo già illustrato, rischiano il richiamo solo i volontari cessati dal servizio da non più di cinque anni: siamo ancora — ufficialmente — in tempo di pace. Appunto per questo però ci domandiamo se lo Stato italiano non si stia preparando una guerra aperta, dopo la mobilitazione delle forze armate, l’invio di armi e soldati in favore dell’Ucraina, le continue bellicose dichiarazioni dei nostri governanti.

In Sardegna (territorio nazionale) si sta svolgendo dal 3 maggio un’esercitazione militare — di proporzioni inconsuete — di eserciti dei Paesi NATO; tanto che alcuni cittadini sardi hanno lanciato una raccolta di firme online contro questo che definiscono “assedio” da parte di «4.000 uomini provenienti da sette Paesi dell’Alleanza Atlantica e oltre 65 mezzi navali e aerei, compresi sottomarini». Quasi ci si preparasse scenari da invasione. Ci sono state manifestazioni con striscioni in lingua sarda che, con parole inequivocabili, ammoniscono: «Firmemos sas esertzitatziones» («Fermiamo le esercitazioni»).

La “politica dello struzzo”, praticata dai più

Si fa un gran parlare di guerra, guerra mondiale, armi nucleari. Da quattro mesi. In gran parte gli italiani non vogliono nemmeno sentir nominare il rischio di coinvolgimento personale in quella che sarebbe nient’altro se non una catastrofe, per tutti. Preferiscono rifugiarsi nella negazione della realtà e nella “politica dello struzzo” (come già rispetto al rischio di catastrofe climatica e ambientale dovuto al surriscaldamento globale). Quasi il loro “angoletto tranquillo” potesse essere il solo a scampare a un disastro globale.

«La storia siamo noi, nessuno si senta escluso»

Pochi giorni fa l’articolo da noi pubblicato, riguardante la possibilità di un richiamo generalizzato alle armi (anche del personale scolastico) in caso di guerra aperta, ha suscitato l’interesse di molti, consapevoli del rischio e della conseguente necessità di opporsi alla guerra senza esitazioni né distinguo. Abbiamo però anche ricevuto insulti e contumelie da parte di altri lettori, convinti che un simile pericolo non esista, e che la nostra testata voglia solo terrorizzare i lettori, o collezionare “clic”, o spingere i docenti ad arruolarsi, o ubbidire alle “veline” del governo, e via fantasticando. Ci colpisce il fatto che molti adulti non sembrino saper leggere (e non vogliamo crederli docenti): infatti, l’articolo invitava semmai — molto chiaramente — ad opporsi alla guerra, non certo ad accettarla.

Capiranno gli italiani che il nostro destino lo creiamo noi, con le nostre convinzioni e con le azioni che ne derivano? O sono avviati ancora una volta, come fecero nel 1943, a risvegliarsi dal sogno di una guerra “giusta” o “inevitabile”, in un Paese già in macerie?

Alvaro Belardinelli

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