Se si studiasse più storia nelle scuole sarebbero di meno i razzismi, i sovraniami, i “Prima gli …”, tutte le tendenze che – nel nome di finte semplificazioni – finiscono per fare danni tanto ai discriminati quanti ai discriminatori come – appunto – la storia insegna.
Non serve ripetere i disastri del passato, è sufficiente conoscerli e riflettere su di essi.
Ad esempio la Resistenza e lo sterminio degli ebrei hanno, per forza di cose, sempre meno testimoni viventi, e questo in qualche modo crea uno spazio per atteggiamenti negazionismi. Occorre avere sempre più testimonianze filmate (le raccoglie l’Associazione Nazionale Partigiani, nelle sue sedi nazionale e locali ed anche online).
Ma occorre anche ripensare ai modelli teorici dello studio della storia, che non è soltanto un succedersi di nomi e di date, ma anche, e soprattutto, la capacità di individuare temi, riflettere sui bisogni umani, avere chiari i sistemi di relazioni, nel tempo e nello spazio (quindi anche studio della geografia), saper produrre linee del tempo, mappe concettuali, carte geostoriche, raccolte di documenti. Siamo alle superiori? Certo, ma, con le giuste graduazioni , queste metodologie sono le stesse che valgono per la scuola secondaria di primo grado e per la primaria. Dove la storia personale (“Quando ho iniziato a mangiare da solo?”) e la raccolta dei racconti dei nonni sono altri strumenti importanti della costruzione del concetto di storia.
E ancora la storia nel racconto umano, quello scritto e quello iconografico ( e via a musei, quadri, visite alle città d’arte, ma anche romanzi storici e film), per sviluppare la produzione (“Io al tempo di …”) ma anche la riflessione su come l’umanità ha raccontato le proprie vicende.
Creare un cittadino capace di riflettere sul vissuto proprio ed altrui e di intervenire su di esso.
Lorenzo Picunio
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