Lo zampino del capitale

Ma chi è Roberto Reggi, firmatario dell’ormai famigerato piano sulla scuola che reca il suo nome e riassume in sé le peggiori ipotesi di controriforma avanzate negli ultimi anni rispetto al mondo della scuola? È un pedagogista, un esperto di didattica, un docente? Nulla di tutto ciò. 

È un ingegnere e un politico, è stato consigliere del PD e sindaco del Comune di Piacenza, ha curato l’aspetto della comunicazione e la campagna elettorale di Renzi fin dalle primarie. Ora è sottosegretario all’Istruzione che fa capo al ministro Giannini. Ed è il responsabile di questo infame disegno che mira a smantellare in un colpo solo gli ultimi elementi residuali di quelle faticose e preziose conquiste di civiltà raggiunte nel mondo della scuola a prezzo di grossi sacrifici, studio e impegno politico da parte del movimento studentesco a partire dal biennio 1968/1969 ad oggi. 

E sono proprio i valori ideali e la cultura sessantottina sorti da quei fermenti e quelle battaglie per un’emancipazione sociale, civile ed intellettuale delle classi lavoratrici, ad essere messi in discussione. Credo che oggi serva una nuova stagione di mobilitazioni e di lotte per rilanciare e preservare quei pochi diritti (non privilegi) conseguiti sia per i discenti che per i docenti, che il famigerato piano Reggi-Giannini-Renzi mette ferocemente sotto attacco. 

La scuola pubblica non può essere trattata alla stregua di un’azienda decotta. Il lavoro docente non può essere equiparato e valutato (dunque, svilito) come una qualsiasi mansione impiegatizia. Sono in gioco la cultura e la formazione delle nuove generazioni, l’avvenire del Paese. 

La crisi rovinosa della scuola pubblica italiana ha conosciuto una vera e propria accelerazione storica a partire esattamente dall’istituzione della cosiddetta “autonomia scolastica”, con i vari problemi annessi e connessi. Il piano Reggi rappresenta il peggior coronamento di tale processo degenerativo, ormai ventennale, di degrado e smantellamento del sistema scolastico nazionale, che un tempo costituiva un bel vanto ed un invidiabile primato del nostro Paese nel mondo. 

La scuola, essendo un ambiente per fortuna e per natura impermeabile e refrattario alle novità (intese in un senso assai peggiorativo), è una struttura assai restia, ostile e diffidente rispetto alle feroci “rivoluzioni” demolitrici introdotte dal grande capitalismo internazionale. 

Perché questa non è una “riforma” di Renzi o di Reggi, del PD o del governo, bensì una controriforma voluta e calata dall’alto, esattamente da quel vorace mondo imprenditoriale che, nella migliore delle ipotesi, punta a fare della scuola un luogo arido ed alienante di addestramento alla selezione di classe dentro il mercato del lavoro, un organismo propedeutico e funzionale alla cinica logica aziendalistica e pseudo-meritocratica del capitalismo ormai decrepito ed in fase di decomposizione avanzata. 

Per queste ed altre ragioni, la scuola pubblica è nel mirino, sottoposta ad un attacco durissimo inferto dai superpoteri economici e politici tuttora dominanti nella nostra società. 

La scuola è un elemento di “conservazione”, intesa in una chiave positiva, ossia nell’accezione indicata da Pasolini quando, negli “Scritti Corsari”, spiegava che oggi, di fronte alle pericolose “rivoluzioni di destra” imposte dal grande capitale industriale e finanziario, i conservatori sono gli unici, veri rivoluzionari che si oppongono ai piani di devastazione e disumanizzazione della nostra civiltà. 

Ebbene, in tal senso anch’io sono un “conservatore”.

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