Con l’arrivo delle vacanze di Natale, si chiude la stagione (non è detto) delle autogestioni e delle occupazioni nelle scuole italiane, con gli studenti che anche quest’anno sono stati protagonisti di proteste di vario tipo.
Un’indagine di Skuola.net su 10mila studenti ha portato alla luce delle cifre, senza dubbio indicative, dei fenomeni di protesta degli studenti che però, come si vedrà, nasconde qualche riflesso negativo dell’attuale situazione giovani.
Infatti, l’indagine mostra un calo di agitazioni studentesche rispetto allo scorso anno, con il 54% di autogestioni e cogestioni che rappresentano la forma più adoperata di proteste, mentre le occupazioni si sono fermate al 31% dei casi, quasi un terzo. Inoltre, quasi la metà degli studenti non ha neanche partecipato. Il 15%, invece, ha assistito a proteste di altro genere.
Nonostante 9 studenti su 10 – 87% – sappiano che l’occupazione sia, già di per sé, illegale, le occupazioni, anche se inferiori di numero come abbiamo visto, quest’anno sono state particolarmente “famose”, finite spesso sui giornali.
In moti casi l’occupazione ha trasformato la scuola in un locale notturno (con ingresso a pagamento, spaccio di stupefacenti e devastazioni). Situazioni estreme e isolate? Proprio no. Perché questo è uno scenario che si ripete in molte altre scuole.
Infatti, l’indagine mostra come il 60% dei ragazzi che hanno partecipato all’occupazione, riferisce che l’ingresso nell’istituto è stato permesso anche a persone esterne. E praticamente 1 su 2 (48%) sostiene che siano circolati alcolici e sostanze stupefacenti.
Inoltre, il 57% degli intervistati dice che, durante l’occupazione, sono state poi organizzate feste o concerti: nel 38% dei casi solo per gli studenti della scuola, nel 19% aperti anche agli esterni, in 1 caso su 2 con ingresso a pagamento. Non solo: il 34% dei ragazzi ha riportato episodi di furti, il 48% di atti vandalici e danni alle strutture (37% lievi, 11% gravi).
C’è comunque una buona fetta di occupazioni che si sono concentrate sulla protesta. I motivi? la didattica alternativa. E, su questo punto, i ragazzi sono divisi: solo per il 40% è stata ben organizzata, il 24% si sarebbe aspettato più partecipazione ai corsi autogestiti, 1 su 4 (25%) la giudica negativamente e 1 su 10 (11%) addirittura un fallimento.
In alcuni casi sarebbe stata colpa dell’atteggiamento dei professori, che ha un po’ spento l’entusiasmo: il 41% pare abbia subito minacce di ‘ritorsioni scolastiche’ da parte dei docenti. Insegnanti che, solo nel 16% dei casi, si sono mostrati solidali (il restante 43% si è mantenuto neutro).
Anche l’autogestione, però, non è andata come ci si aspettava: solo per il 45% di chi ha partecipato, infatti, è stata un successo; il 34%, invece, lamenta una scarsa adesione; per il 16% è stata mal organizzata; per il 5% un fallimento totale.
Ad ogni modo, pare che la reazione dei prof sia stata in questo caso più accondiscendente: quando c’è stata autogestione, le minacce di ritorsioni sono arrivate solo da 1 insegnate su 5, ma la stessa quota (21%) ha appoggiato l’iniziativa; la maggior parte (58%) non ha detto nulla. I motivi della protesta? Il 38% ha aderito per richiamare l’attenzione sui problemi interni alla propria scuola, il 17% per discutere dei punti critici dell’alternanza scuola lavoro, il 15% per opporsi alla ‘Buona Scuola’.
Ci sono anche molti studenti che hanno deciso di non partecipare, ne all’occupazione né all’autogestione.
Principalmente, per il 35% degli intervistati, la causa di non partecipazione all’autogestione è rappresentato dal divieto dei genitori ad aderire alle protesta. A seguire sensazione di perdere tempo e basta (19%) e dal volersi opporre ai motivi della protesta (18). Nel caso delle occupazioni, invece, il 30% non partecipato semplicemente perché non è si è arrivati all’occupazione; il 23%, invece, non condivideva le ragioni che l’hanno generata.
La stagione degli scioperi, delle occupazioni e delle autogestioni potrebbe essere finita per quest’anno, perché tradizionalmente si svolge nei primi 3 mesi di scuola. Il condizionale è d’obbligo, in quanto le proteste potrebbero arrivare da un momento all’altro, l’esperienza insegna.
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