Non si intravvedono soluzioni per il caso clamoroso delle “custodie” scolastiche occupate da ex custodi, collaboratori scolastici o loro eredi, parenti e amici.
Dopo la “fiammata” di qualche giorno fa quando la vicenda aveva occupato le testate giornalistiche, adesso il silenzio è ormai calato.
Ne parliamo con Fabio Cannatà, dirigente scolastico a Roma (7 delle sue sedi scolastiche sono occupate abusivamente o comunque in modo non del tutto legittimo).
Preside Cannatà, che idea si è fatto della vicenda?
Per certi aspetti è una questione quasi incomprensibile.
I sindacati della scuola, per esempio, utilizzano tutte le occasioni per fornire contributi in merito a questioni che, pur non riguardando aspetti strettamente legati al rapporto di lavoro, hanno a che vedere con il mondo delle istituzioni scolastiche e dell’istruzione.
E questo mi pare assolutamente utile, anzi direi giusto, vista la preziosa funzione di intermediazione che le forze sociali dovrebbero esercitare nella quale continuo a credere.
E cosa c’è di incomprensibile?
Non riesco a non avvertire l’assoluto silenzio di tutti i sindacati in riferimento al tema delle occupazioni dei locali scolastici da parte degli ex custodi, dei loro parenti e/o di estranei. Questione, si badi bene, non limitata a scuole di alcuni territori, ma di interesse nazionale.
Forse perché anche gli ex custodi e le loro famiglie sono iscritti a qualche sindacato?
Ma no, non credo proprio, anzi lo escludo.
Il motivo, forse è un altro: mettere le mani in una materia in cui si mescolano in modo particolarmente disarmonico e sgradevole illegalità, protervia, violenza da una parte (ed in alcuni casi) e fragilità sociale, bisogno e privazione dall’altra (ed in altri casi) non produce effetti immediati di consenso. In altre parole: se si toccano certe questioni, si scontenta qualcuno e il suo “piangere fa male al re”.
E così si preferisce lasciare le cose come stanno: lasciamo che siano le scuole a risolvere impropriamente l’emergenza abitativa di alcune categorie sociali disagiate (in alcuni casi, non in tutti) e lasciamo tranquillo chi dovrebbe risolvere il problema. È ovvio, infatti, che non si tratta solo di una questione amministrativa e/o giudiziaria: la questione è, viste le dimensioni, politica e chi non vuole ammetterlo non vuole affrontare il problema.
In mezzo a questa complicata vicenda ci sono i dirigenti scolastici…
Proprio così: i dirigenti scolastici hanno proceduto, per quanto di loro competenza, ad adottare i provvedimenti previsti dall’ordinamento nei confronti di chi sottrae illegalmente spazi e locali alle scuole e, quindi, agli studenti e alla funzione di istruzione e formazione. Ora si ritrovano soli. Soli a contemplare che i loro atti non hanno prodotto alcun effetto, perché chi doveva intervenire in seguito alle decisioni assunte dai dirigenti scolastici è inerte e questa inerzia rende più forte il ‘diritto’ dell’occupazione di un edificio pubblico (“e se non mi fate rimanere qui, dove vado?”).
Lei cosa si aspettava? Aiuto, solidarietà, comprensione ?
Il dirigente scolastico non deve certo essere assistito quando fa il suo dovere, ma, se fa il suo dovere, anche gli altri devono fare il proprio. Altrimenti si rimane soli. Si sa, chi nel nostro paese viene lasciato solo, ha la certezza di perdere. E con lui perdono tutti coloro che dall’azione dello Stato aspettano la giusta tutela.
Questo caso, forse, è difficile da affrontare e da risolvere perché ci sono troppi interessi contrapposti..
Come spesso accade bisogna trovare un punto di equilibrio tra la tutela del diritto all’istruzione e le fragilità sociali, ma tentiamo di uscire fuori dall’impersonalità del ‘bisogna’ che innerva le sparate dei politicanti (tendo, di solito, a distinguerli dai politici): chi deve agire dopo che un dirigente scolastico ha fatto quello che deve fare? Forse interessa a qualche sindacato tirare dentro la questione chi ha responsabilità in merito e non sta facendo il suo dovere? Si tratta di restituire spazi e locali agli studenti, molti dei quali hanno solo quelli per poter vivere opportunità di promozione sociale.
Lei tira in ballo i sindacati: nel concreto cosa potrebbero fare?
Vogliamo parlare della bicicletta? Ognuno ha scelto la propria. Qual è la bicicletta dei sindacati? Quale potrebbe essere la loro funzione nel contesto di un dibattito che coinvolge diritto all’istruzione, rispetto della legge, criticità sociali e che per ora è alimentato solo da un certo tipo di giornalismo, quello un po’ urlato, per intenderci? Queste sono questioni di interesse per un sindacato della scuola? Questioni che un sindacato potrebbe porre, ad esempio, al decisore politico? Il tema è eminentemente politico, come detto, e chi lo maschera con sembianze amministrative e giudiziarie lo vuole rendere irriconoscibile.