Che le donne, dal punto di vista occupazionale, paghino in genere il prezzo più alto quando c’è una crisi, ormai purtroppo in Italia è un dato che conosciamo. Con il lockdown di primavera il divario tra uomo e donna si è fatto, se possibile, ancora più evidente.
Come evidenziato dal focus “Ripartire dalla risorsa donna”, elaborato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, i dati divulgati a settembre dall’Istat sembrano confermare la paura diffusa fin dalle prime settimane
dell’emergenza Covid-19 e cioè che, con la crisi, a rimetterci, sarebbero state soprattutto le donne.
Tra secondo trimestre 2019 e 2020, sono state infatti 470 mila le occupate in meno, per un calo nell’anno del 4,7%. Su 100 posti di lavoro persi (in tutto 841 mila), quelli femminili rappresentano il 55,9%; al confronto, l’occupazione maschile ha dato prova di maggior tenuta, registrando un decremento del 2,7% (371 mila occupati).
In percentuale però le donne hanno lavorato di più durante il lockdown: infatti, l’esperienza vissuta durante i mesi di chiusura primaverile ha visto le donne gestire un sovraccarico di lavoro, famigliare e professionale, senza precedenti. Da un lato, sono state più degli uomini impegnate nell’attività lavorativa, dovendo garantire l’erogazione di servizi essenziali, dalla scuola, alla sanità, alla pubblica amministrazione, tutti settori a forte vocazione femminile: ben il 74% delle donne ha continuato a lavorare mentre tra gli uomini la percentuale è stata più bassa (66%).
Dall’altro lato, con la chiusura delle scuole, il tema della conciliazione si è
imposto in modo emergenziale, sia per le tante mamme che hanno dovuto garantire la presenza nel luogo di lavoro (si pensi alle lavoratrici in ambito sanitario o della pubblica amministrazione), sia per quante hanno potuto lavorare da casa, dove però i compiti di cura e di assistenza nei confronti dei figli impegnati con la didattica a distanza hanno reso la conciliazione un’impresa molto difficile.
Lo stress che è derivato da queste situazioni per quasi 3 milioni di mamme lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni (30% delle occupate) è stato elevatissimo, tanto che molte di loro potrebbero essersi trovate nella condizione di interrompere o rallentare la propria attività.
Nell’ultimo anno la tendenza ad allontanarsi dal lavoro, rinunciando anche alla ricerca di un’occupazione, è cresciuta sensibilmente, facendo registrare tra giugno 2019 e 2020 un incremento di 707 mila donne inattive (+8,5%).
La riduzione maggiore si è riscontrata nelle fasce più giovani, dove la quota di donne che ha compiti di accudimento verso i figli è più elevata.
Il tasso di attività è passato infatti dal 62,1 al 54,8 tra le 25-29enni, dal 68,8 al 61,6 tra le 30-34enni e dal 71 al 66,8 tra le 35-39enni. Tale tendenza appare particolarmente accentuata tra le donne che hanno titoli di studio più bassi, ma anche tra le laureate il rischio di fuga dal lavoro è alto, soprattutto tra le
giovanissime.
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