“Studiare incentivi fiscali per chi svolge la pratica sportiva e, soprattutto, aumentare le ore di educazione fisica nelle scuole, affinché questa materia non sia più una cenerentola ma un volano decisivo per rendere la nostra società più attiva e in buona salute”. A scriverlo su Facebook, il 12 febbraio, è stata la ministra della Salute e leader di Civica Popolare, Beatrice Lorenzin, commentando i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull’inattività fisica degli adolescenti.
Rendendo pubblica l’intenzione di includere questo obiettivo tra gli impegni che “intendo portare avanti e su cui mi batterò nella prossima legislatura”, la Lorenzin ha aggiunto che “l’alert dell’Organizzazione mondiale della Sanità sottolinea come l’inattività fisica è un fattore chiave per lo sviluppo di patologie cardiovascolari, diabete e cancro: non è assolutamente da sottovalutare”. Nonostante i “tanti benefici di salute collegati al regolare svolgimento di attività fisica, secondo i dati del sistema PASSI 2017 più del 32% degli italiani è da considerare sedentario”, dice ancora la ministra.
Poi ricorda che gli stili di vita, soprattutto nei giovani, avverte Lorenzin, “sono cambiati: ci si muove sempre di meno ed è praticamente scomparsa l’attività fisica all’aperto”. Per poi anche rammentare che “l’inattività fisica incide anche sui costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria dovuti al negativo impatto sulla produttività e sugli anni di vita in buona salute persi”. Recentemente, ricorda, “insieme a Coni e Istituto superiore di Sanità abbiamo lanciato una campagna Movimento è salute…a tutte le età per sensibilizzare la popolazione sui benefici di salute che comporta lo svolgimento di uno sport. Inoltre, come già sottoscritto nell’ Urban Health Rome Declaration firmata con l’Anci, è fondamentale ampliare e migliorare l’accesso alle pratiche sportive e motorie nelle città, favorendo lo sviluppo psicofisico dei giovani e l’invecchiamento attivo”.
La titolare uscente del ministero della Salute conclude il suo ‘post’ con un imperativo: “bisogna andare oltre, a partire dallo studiare incentivi fiscali per chi svolge sport”.
Le parole della Lorenzin sono assolutamente condivisibili. Come quello dell’insufficienza della comunque positiva dell’iniziativa che assieme Coni e Istituto superiore di Sanità ha visto il ministero della Salute in prima linea per avviare la campagna “Movimento è salute”: si tratta, infatti, di progetti che lanciano un’idea, senza però cambiare lo stato di cose.
Per convincere gli italiani, a partire dai giovani studenti e dalle loro famiglie, che lo sport è salute e benessere, serve altro: ad iniziare dall’introdurre l’attività fisica come disciplina nelle scuole dell’infanzia e primarie, frequentate da oltre quattro milioni e mezzo di alunni.
Vale la pena ricordare che la maggior parte di questi bambini, suddivisi in poco meno di 200mila classi, svolgono attività fisica a scuola solo in modo estemporaneo, attraverso progetti, come quello attuato d’intesa con il Coni, non di rado anche a pagamento (per le famiglie). Se si vuole davvero sensibilizzare la famiglia media italiana, è bene partire da lì: abituandola all’idea che l’attività fisica è una prassi che fa bene alla Salute. Se lo fa anche la Scuola, dobbiamo farlo anche noi. Senza contare il messaggio e l’abitudine che si tramanderebbe alle nuove generazioni.
Le buone intenzioni, invece, non portano lontano. Nel 2013, l’allora ministro per le Pari opportunità e per lo Sport, Josefa Idem, disse pubblicamente che per far crescere la cultura sportiva servono “laureati in scienze motorie” ad iniziare dalla scuola primaria, dove invece l’attività motoria è affidata a maestre non specializzate. Oppure a progetti a pagamento, dei genitori, che non sempre durano tutto l’anno scolastico.
In quell’occasione calcolammo la spesa per le 132.193 classi di primaria in tutta Italia, considerando ovviamente l’aggiunta di due ore di educazione fisica oltre l’attuale orario settimanale: “considerando che l’attività motoria con il docente specialista dovrebbe continuare a prevedere due ore a settimana d’insegnamento, sarebbero circa 11mila gli insegnanti che occorrerebbero. Calcolando che lo stipendio annuale iniziale, comprensivo di oneri fiscali e previdenziali, si aggira sui 23mila euro annui, l’impegno economico per lo Stato sarebbe di almeno 250 milioni di euro”.
Considerando nel computo pure le scuole dell’infanzia statali, si arriverebbe almeno a 300 milioni di euro. Realizzare un Protocollo, invece, costa molto ma molto meno. Non è ora di invertire la tendenza?
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