Solo qualche anno fa la gita scolastica costituiva un rito, un momento di crescita e di confronto. Nell’era di internet e negli anni della crisi, però, quel piacevole rituale si è appiattito.
Gli ultimi studi nazionali ci dicono che meno della metà degli studenti parte oggi per un viaggio d’istruzione per pernottare almeno una volta fuori casa. E spesso non si varcano i confini nazionali. Gli organizzatori, inoltre, sono in perenne caccia di soluzioni alberghiere low cost, con il pullman che è diventato il mezzo di trasporto più gettonato.
Anche le mete si sono ridimensionate: le tradizionali capitali europee, che rappresentavano per molti ragazzi l’esperienza di vita che più di tutte li conduceva verso l’età adulta, sono uno sbiadito ricordo. Oggi si riscopre il patrimonio artistico italiano, quasi sempre per mera necessità piuttosto che per una scelta consapevole: il Belpaese riguarda ormai tre gite di scuole italiane su quattro.
A complicare tutto ci si è messo anche lo Stato, che con la spending review che ha tagliato i “gettoni” ai docenti accompagnatori, le cosiddette indennità di missione, e caricato le spese sulle spalle delle famiglie degli studenti. E non di rado gli studenti non partono perché i soldi a casa non ci sono.
Quest’anno le cose potrebbero andare ancora peggio, visto che i viaggi d’istruzione rientrano in quelle “attività extracurricolari” che i sindacati più agguerriti contro la riforma della Buona Scuola consigliano di non rifiutare in blocco: ai docenti, in sostanza, viene chiesto di non aderire alle uscite, visto che rientrano tra le attività non obbligatorie.
Per capire quanto sia profonda la crisi delle gite scolastiche, abbiamo intervistato Gianfranco Lorenzo, direttore Studi e Ricerche del ‘Centro Studi Turistici’ di Firenze.
Dottor Lorenzo, è in grado di dirci quanti sono gli studenti che oggi in Italia partono per la classica gita d’istruzione, andando oltre la giornata fuori casa?
Considerando gli studenti della scuola primaria, secondaria di I e II grado degli Istituti Statali e Paritari, nel 2014/2015 si stima che siano stati circa 2,7 milioni gli studenti che hanno partecipato ad un viaggio di istruzione. Cioè il 37,5% del totale. Aggiungendo anche gli insegnanti accompagnatori, nel precedente anno scolastico questi viaggi hanno generato 7,4 milioni di pernottamenti nelle strutture ricettive italiane e 2,8 milioni all’estero.
Però si tratta di numeri ridotti rispetto al passato: quanto incide il mancato supporto economico delle scuole alle famiglie, su questa parabola discendente?
La scarsa adesione da parte degli studenti è ormai una consuetudine. Nella maggioranza dei casi la motivazione è di carattere economico. Ovviamente la scuola non ha i mezzi per poter sostenere la partecipazione, ma nei casi in cui i Consigli di Istituto hanno previsto accantonamento di risorse da destinare come “quote di contributi” per i viaggi di istruzione o di studio, il numero di adesioni è salito sensibilmente. I contributi vengono erogati a quelle fasce di studenti che si trovano in particolari condizioni, ma purtroppo non sono tanti gli Istituti in Italia che hanno fatto questa scelta.
In tanti puntano il dito sui genitori: con la crisi economica, sembra che preferiscano tenere da parte i soldi per spenderli in un viaggio di famiglia. Solo che per lo studente non è la stessa cosa…
La famiglia rimane il principale decisore e le scelte che comportano un risparmio economico vanno rispettate. In tempi di crisi le famiglie monoreddito purtroppo sono molte, magari con più figli, e la valutazione su come “spendere i loro soldi” spetta a loro.
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C’è anche ci dice che se si fanno meno gite è anche per colpa dei docenti, sempre più “casalinghi”, meno pronti a sacrificare giorni interi per il lavoro e quindi restii ad accompagnare i loro allievi. Cosa ci può dire in merito?
La scuola italiana ha gli insegnati con un’età media da record, tra le più alte al mondo. Credo sia questo uno dei motivi principali per cui è sempre più difficile avere la disponibilità dei docenti. Accompagnare un gruppo di studenti significa “vigilare sulla loro sicurezza”, ininterrottamente per 24 ore. Un tempo almeno veniva riconosciuta l’indennità di missione.
I sociologi sostengono che si viaggia di meno anche per via del web: oggi si conosce il mondo, seppure in modo virtuale, rimanendo seduti sulla scrivania. E’ d’accordo?
Non credo che l’accessibilità alle informazioni sul web possa scoraggiare la partecipazione al viaggio di istruzione, ma piuttosto che il turismo scolastico stia attraversando una fase congiunturale particolarmente critica. Il trend non è scollegato dalla situazione economica dell’Italia e molto presto potremmo registrare segnali di ripresa del mercato.
Ma quali potrebbero essere gli “stimoli” per accelerare la ripresa?
Come per tutte le situazioni di crisi, le inversioni di tendenza sono sempre accompagnate da cambiamenti nelle scelte dei consumatori. Anche per gli studenti, ma soprattutto per chi decide o meno la loro partecipazione al viaggio, probabilmente bisognerà proporre formule alternative alla classica “gita”, magari intensificando gli scambi tra classi di istituti di regioni diverse o di paesi di differenti europei, privilegiare i viaggi studio per l’apprendimento della lingua, sviluppare progetti didattici precisi che prevedono la conclusione in determinate località e destinazioni.
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