Su Left, settimanale di informazione politica, c’è spazio per un’intervista a Franco Lorenzoni, maestro ed educatore, che ha fondato nel 1980 ad Amelia, in Umbria, la casa laboratorio Cenci, un centro di ricerca didattica che accoglie studenti e insegnanti da tutta Italia e li fa lavorare su temi scientifici, ecologici, e di inclusione.
L’occasione è propizia per un’analisi approfondita della scuola italiana: “La verità è che in Italia, dall’introduzione della Media unica 55 anni fa, non si è mai investito in modo adeguato e coerente perché la scuola divenisse un reale volano di ascensione e rimescolamento sociale”.
LEGGE 107 – “La legge 107 è una legge che non ha mai avuto niente di organico. È un’accozzaglia di provvedimenti slegati tra loro, di cui alcuni molto criticabili, come l’introduzione di una presunta gerarchia di merito tra gli insegnanti, che non aiuta il miglioramento della scuola. Ci sono anche provvedimenti interessanti, come l’obbligatorietà della formazione in servizio – già introdotta dalla ministra Carrozza – e il rapporto scuola-lavoro, sulla cui attuazione ci sono però molti problemi da superare. Una legge, in sintesi, al cui interno si muovono spinte contraddittorie, che ha suscitato una forte opposizione per molte scelte sbagliate, che stanno ulteriormente peggiorando ora che si stanno definendo i decreti attuativi. L’assegnazione alle scuole di docenti di potenziamento, ad esempio, potrebbe facilitare una gestione più flessibile e autonoma di noi insegnanti. Ma sono necessarie due condizioni: che ci siano dirigenti scolastici capaci di una visione innovativa della didattica e che si vieti il loro utilizzo come supplenti o tappabuchi. Altrimenti, come in molte scuole accade, si sta creando un personale di seconda categoria, insoddisfatto perché male utilizzato”.
SCUOLA INCLUSIVA – “Siamo di fronte a un paradosso. L’Italia ha ricevuto dall’Onu lo scorso anno un riconoscimento come Paese che dispone le leggi più avanzate in tema di inclusione. Ma poi molte scelte politiche, invece di creare le condizioni perché queste buone leggi siano applicate, spesso rendono tutto più difficile. Va detto anche però, per onestà, che nelle attuali condizioni si osservano realtà molto diverse. Ci sono scuole in cui l’impegno individuale e collettivo a costruire con fatica buoni livelli di inclusione dà i suoi risultati e scuole in cui il forte attrito burocratico, le pigrizie mentali e la scarsa preparazione nel merito di troppi insegnanti danno luogo, nei fatti, a una scuola che emargina ed esclude chi ha più difficoltà. La scuola realmente inclusiva vive solo quando le leggi giuste e avanzate che ci sono vengono incarnate da insegnanti dotati di forte etica individuale e stimolate e messe a sistema da dirigenti capaci di andare oltre alla gestione del quotidiano e delle continue emergenze. Non sono poche queste realtà, ma restano tuttavia una minoranza. La politica scriteriata che porta a classi sempre più numerose insieme ai troppi accorpamenti tra scuole, sommata alla mancanza di un concorso per dirigenti continuamente rinviato con il conseguente uso massiccio di dirigenti reggenti, ha creato situazioni insostenibili. Oggi un dirigente scolastico deve svolgere un’enorme quantità di funzioni. Con l’introduzione degli “ambiti” decentrati, che assumono funzioni di coordinamento e gestione che erano state prima dei Provveditorati provinciali e poi degli Uffici Scolastici Regionali, il carico che grava sui dirigenti più attivi è abnorme. E invece le scuole hanno bisogno di dirigenti e gruppi capaci di orientare e promuovere la ricerca e l’innovazione didattica, senza la quale la scuola muore. Ma per guidare la crescita umana e professionale di noi insegnanti bisogna essere dotati di uno spessore culturale, una capacità di visione e del coraggio di sapere andare controcorrente che a molti manca. Così i maggiori investimenti in formazione in servizio, utili e necessari, rischiano ancora una volta di non valorizzare le risorse umane e culturali presenti nelle scuole, ma spesso sottovalutate. È soprattutto di un’autoriforma dal basso che la scuola ha bisogno. Ma chi è in grado di promuoverla oggi?”
FORMAZIONE – “Il problema della formazione è cruciale, ma ancor più quello della responsabilità e dell’etica individuale, perché il buon funzionamento di un’istituzione si dà solo quando si intrecciano leggi adeguate e buone pratiche, che non possono non venire dal basso. Qui sta il nodo culturale che blocca l’Italia, perché molti si lamentano, anche a ragione, ma troppo pochi si assumono la responsabilità di testimoniare con persuasione che si può fare di buono a scuola, dando voce e dignità a bambini e ragazzi. Senza paura di esagerare penso che il modo in cui sono concepite e organizzate la maggioranza delle facoltà di Scienza della formazione è fortemente diseducativo. Andrebbero radicalmente ripensate, ma sul serio. Nei decreti attuativi che riguardano lo 0-6 si propone la laurea obbligatoria anche per le educatrici ed educatori dei nidi. Benissimo, ma sai cosa accadrà? Ci sarà un corri corri per accaparrarsi queste nuove cattedre, senza alcuna riflessione organica su che cosa significhi inventare una facoltà capace di formare un’educatrice dei nidi. L’Università in Italia sembra incapace di autoriflessione e si muove sempre per compartimenti stagni. Ciascuno pensa al suo: non c’è mai la capacità politica – nel senso più alto del termine – di affrontare le questioni culturali prendendole di petto dal punto di vista giusto. Si parla tanto di corruzione, ma l’Università è uno dei luoghi più corrotti, sia per il modo con cui vengono scelte e create le cattedre che per il modo, criticabilissimo, in cui si è scelto di organizzare la valutazione dei professori. Tutti ne paghiamo e ne pagheremo le conseguenze”
SCUOLA PRIMARIA – “Ci sono due elementi da considerare. Da una parte il disagio crescente dei bambini, che dipende da una grande crisi della famiglia, accentuata in alcuni casi anche da condizioni di indigenza. La crisi però è anche psicologica: moltissimi adulti vivono male da molti punti di vista e questo si riflette nei disagi crescenti dei bambini. Lo dimostra la crescita esponenziale di bambine e bambini catalogati come di Bes (cioè con bisogni educativi speciali). E allora bisogna riflettere seriamente sul fatto che, se c’è un disagio forte nella società, l’infanzia è la prima vittima. Dall’altra parte c’è la grande questione dei figli degli immigrati. Bisogna distinguere se sono di prima o di seconda generazione, ma comunque per lavorare in classi con livelli di comprensione della lingua italiana molto diversi e saper valorizzare e dare dignità e ascolto a diverse idee e concezioni del mondo, ci vuole una grande preparazione e disponibilità umana. In generale va detto che sia la scuola dell’infanzia che la scuola primaria, complessivamente hanno reagito bene. Sono stati certamente i luoghi pubblici più accoglienti nei confronti degli immigrati, nonostante siano state le più penalizzate dal mostruoso taglio di oltre 8 miliardi fatto da Tremonti, quando faceva il ministro dell’Istruzione mascherato da Maria Stella Gelmini”.
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