La dispersione scolastica ha le ore contate: quantomeno nelle intenzioni del Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che lo ha dichiarato Sky Tg24. E sarebbe ora. Infatti, mentre il sistema mediatico imperversa per seminare terrore nei confronti dell’aumento dello Spread, una strage silenziosa si consuma sui banchi delle scuole italiane.
Tantissimi studenti lasciano il mondo dell’istruzione, andando spesso ad ingrossare le fila nei cosiddetti NEET, i giovani che non studiano, non lavorano, e che un lavoro hanno persino rinunciato a cercarselo.
Eppure solo il 10 gennaio di quest’anno il Sole 24 ore annunciava trionfante: «In Italia la dispersione scolastica è scesa dal 20,8% di dieci anni fa al 13,8% del 2016, avvicinandosi all’obiettivo Europa 2020 di un tasso inferiore al 10 per cento». Erano i tempi belli del Governo Gentiloni, e un po’ di ottimismo — diamine! — era d’obbligo. Anche se, subito dopo, il quotidiano di Confindustria era costretto ad ammettere che «resta un forte divario tra Nord e Sud, con Sicilia, Campania e Sardegna sopra la media nazionale».
Ma niente paura: «Il lavoro della cabina di regia contro abbandono e povertà educativa istituito nel maggio del 2017 dalla ministra Valeria Fedeli con l’ex sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria» stava per prendere finalmente il toro per le corna mediante un quinquennale «piano di contrasto».
Nella speranza, naturalmente, di convincere l’elettorato alle elezioni politiche di marzo.
Le cose, si sa, non sono andate come qualcuno auspicava, e l’elettorato non si è convinto. Tutto assume una luce diversa, e la verità appare più cruda. Il 10 settembre Repubblica esce con un articolo di tono ben diverso: «Nel giorno in cui ricominciano le lezioni in molte città, l’Italia conquista la “maglia nera” sul fronte della dispersione scolastica. Siamo i peggiori al mondo. Sono infatti stati persi oltre 3 milioni di studenti, in 20 anni, una fila lunga da Domodossola a Canicattì.
Secondo un dossier diffuso da Tuttoscuola, il tasso di abbandono più elevato è in Sardegna (33%), seguita dalla Campania (29,2%), il più basso in Umbria (16,1%). Il Nord Ovest ha la stessa dispersione del Sud (25%).
Dati inquietanti, soprattutto se si pensa che nel mondo Giappone, Norvegia e Corea hanno un tasso di dispersione a 18 anni pari allo zero. Thailandia, Russia, Taipei, Kazakistan viaggiano sotto il 5 per cento. Canada, Australia, Israele, Giordania e Singapore sotto il dieci per cento. Tuttoscuola, nello studio intitolato La scuola colabrodo, ha calcolato che, dei 590mila adolescenti che in questi giorni iniziano le scuole superiori, almeno 130mila non arriveranno al diploma.»
Lo studio di Tuttoscuola, in effetti, è davvero inquietante. Sul sito web della rivista un filmato sintetizza i dati più stringenti, invitando tutti a condividerlo sui social media.
Nel filmato si ricorda che negli ultimi dieci anni un milione e ottocentomila studenti non hanno potuto sostenere l’esame di maturità perché hanno abbandonato prima di arrivarci. «È come se ogni anno fosse sparita dai banchi di scuola una città grande come Modena o Reggio Calabria. Questo però fa meno notizia di due punti di spread. Complessivamente questo ci è costato 27 miliardi di euro. Abbiamo versato nelle casse dell’ignoranza 2,7 miliardi di euro annui: più dell’intero volume d’affari di tutta la Serie A.
La dispersione scolastica ci rende non solo più ignoranti, ma anche più poveri.
Un tema completamente trascurato nelle campagne elettorali. Studiare conviene. Più istruzione vuol dire più salute. Tre anni e mezzo di studio in più abbassano di un terzo il rischio di malattie cardiache. Quindi: meno costi per la sanità.
Più istruzione significa meno criminalità. Un 10% di anni di studio in più riduce di oltre il 2% i crimini contro la proprietà. Quindi: meno costi per la sicurezza.
Più istruzione vuol dire più lavoro. La disoccupazione per chi ha la sola licenza media è doppia rispetto a chi ha il diploma e quadrupla rispetto a chi ha la laurea. Quindi: meno disagio sociale. Lo studio allunga la vita, lo migliora e ci fa risparmiare».
Bullismo, devianza, criminalità, tossicodipendenze: tutti fenomeni che trovano il più favorevole brodo di cultura nell’ignoranza e nell’abbandono scolastico. Quali le cause? Sicuramente il contesto sociale (familiare in particolare) è determinante. Il familismo amorale di molte regioni italiane, quando crea legami talmente forti da prevalere sul vincolo di solidarietà sociale e sulla fiducia nelle istituzioni, non può certamente invogliare l’adolescente alla frequentazione dell’istituzione Scuola. In contesti simili la cultura è guardata con diffidenza, come tutto quanto viene da ambiti esterni a quello del clan di appartenenza.
Altra concausa è quella legata al processo di crescita individuale, soprattutto quando un giovanissimo individuo continua a sentirsi permanentemente estraneo all’ambiente scolastico, anche dopo mesi o anni.
E qui le colpe, spesso, vengono attribuite alla Scuola, indicata come vetusta, attardata su tecniche didattiche antiquate, nozionistica, pedante, inutile, noiosa; e, in quanto tale, classista (se le critiche vengono da sinistra) o “estranea al mercato” (se le critiche vengono da destra).
Ma le cose stanno davvero così? E il Governo italiano farà davvero, stavolta, qualcosa di concreto contro la piaga dell’abbandono scolastico?
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