Fra il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi e il Gruppo di Lavoro sui problemi della dispersione scolastica da lui stesso istituito è ormai scontro aperto.
Il problema è complesso e riguarda questioni di metodo e di merito.
Intanto c’è il fatto che già a inizio giugno il Gruppo di lavoro aveva consegnato al Ministro un ampio documento con una serie di osservazioni e di proposte per il migliore utilizzo possibile delle ingenti risorse disponibili all’interno del PNRR per contrastare la dispersione scolastica.
Ma, secondo il Gruppo, le cose sono poi andate diversamente e la prima fetta di 500 milioni dello stanziamento complessivo di un miliardo e mezzo sarebbe stata distribuita in modo molto discutibile.
Gli indicatori, ha sottolineato con un paio di articoli e interviste la sociologa Chiara Saraceno che fa parte del Gruppo di lavoro, dovrebbero essere diversificati e fare riferimento non solo ai livelli di apprendimento rilevati dall’Invalsi, ma anche ai tassi di istruzione e di disoccupazione della popolazione del territorio, alla percentuale di studenti stranieri o con bisogni educativi speciali presenti nelle singole scuole, e a molto altro ancora.
Alla fine, però, il Ministero ha utilizzato criteri molto semplificati riducendoli in larga misura agli esiti degli apprendimenti e ai tassi di abbandono scolastico, con il risultato che i soldi sono arrivati a scuole che ne avrebbero poco bisogno; al contrario scuole in situazione di obiettivo disagio non hanno avuto finanziamenti.
Ci sono però anche altre questioni non secondarie: in prima battuta con la nota che accompagnava le “tabelle” con le somme spettanti alle scuole, il Ministero chiariva che le risorse sarebbero dovute servire ad attivare progetti e interventi curati anche dalle agenzie del “terzo settore” a sostegno delle scuole in difficoltà.
Contro questa ipotesi c’è stato però più di un pronunciamento; uno fra tutti è stato quello dell’associazione professionale Proteo Fare Sapere che ha fatto osservare che per combattere la dispersione non basta “affiancare” le scuole con un po’ di “progettualità” esterna ma è necessario intervenire sulla scuola stessa e sulla sua organizzazione, a partire dalla condizioni strutturali (edilizia, numero di alunni per classe e così via).
Nella mattinata del 6 luglio, intervenendo alla presentazione dei dati delle rilevazioni Invalsi, il ministro Bianchi ha corretto un po’ la rotta sottolineando che bisogna puntare tutto sulla autonomia delle scuole.
Affermazione che sembra quasi un voler ridimensionare il ruolo del terzo settore per valorizzare al massimo il “protagonismo” delle istituzioni scolastiche. La situazione, però, si è appesantita nella giornata del 7 luglio a seguito della decisione del Ministro di spiegare in che modo l’Amministrazione intende procedere sull’utilizzo dei fondi usando un canale quanto meno irrituale, e cioè una lettera aperta pubblicata da una testata giornalistica specializzata.
La lettera sembra quasi una risposta indiretta alle obiezioni del Gruppo di Lavoro a cui invece Patrizio Bianchi non ha mai dato riscontro diretto.
Si pone quindi una questione di metodo di non poco conto: il Gruppo di lavoro pone dei problemi e chiede chiarimenti al Ministro che però non dà risposte salvo intervenire con una lettera aperta a distanza di un mese.
Di fatto, il rapporto fra il Gruppo e il Ministro appare ormai irrimediabilmente compromesso tanto che alcuni passaggi della lettera aperta firmata da Bianchi fanno intendere chiaramente che per il Ministero il lavoro degli esperti si deve considerare concluso.
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