Vi sembra concepibile che anche l’intelligenza artificiale possa essere sessista? Per questo basta “l’intelligenza” umana, direte voi. Eppure, all’Unesco pare non abbiano dubbi: l’Agenzia delle Nazioni Unite ha, infatti, ingaggiato una squadra di esperte per rendere più inclusiva la tanto discussa AI, l’intelligenza artificiale, per l’appunto.
E’, in sintesi, quanto riportato dal settimanale tedesco Die Zeit, secondo il quale all’Unesco si sarebbero accorti che gli algoritmi che stanno alla base delle intelligenze artificiali sono stati sviluppati, in larghissima parte, da uomini.
Ed è per questa ragione che i bisogni e le esperienze delle donne non sarebbero stati tenuti sufficientemente in conto da chi ha concepito i software.
Da qui nasce il progetto denominato Women4Ethical AI, realizzato, per conto dell’Unesco, da una equipe di diciassette esperte appartenenti alla comunità scientifica e alla società civile. Il loro compito sarà quello di riequilibrare la parità dei sessi nei programmi di intelligenza artificiale.
Ma in che cosa consisterebbe, esattamente, questa pecca di visibilità dell’universo femminile, di cui parla – in un’intervista a Die Zeit del 2 maggio scorso – la francese Audrey Azoulay, segretaria generale dell’Unesco?
La sottorappresentazione di cui si discute la si nota, ad esempio, nei programmi di medicina, dove spesso molti esempi di diagnostica non si adatterebbero alle donne, in quanto si basano su dati raccolti su campioni a larga maggioranza maschile.
Queste osservazioni dell’Unesco sono condivise da Forbes, la rivista statunitense di economia nota per le sue liste e classifiche, ma anche dal quotidiano inglese The Guardian, che in una sua recente inchiesta sottolinea il presunto sessismo di una tra le più conosciute espressioni dell’intelligenza artificiale , ChatGPT. A una serie di domande, sembrerebbe infatti che la macchina abbia dato risposte decisamente sessiste, definendo, ad esempio, “osées” alcune foto di donne, mentre altre foto di uomini non sarebbero mai state definite così.
Normale, quando si leggono i dati forniti dall’Unesco, secondo i quali soltanto il 12% dei ricercatori in intelligenza artificiale e il 6% degli sviluppatori di software sono donne.