“Riteniamo che sia giunto il momento di avviare una seria fase di confronto, tra istituzioni e operatori del settore, sul tema della valutazione scolastica di ogni ordine e grado, al fine di valutarne l’efficacia, che a nostro parere presenta diverse criticità, e di apportare eventuali correttivi in corsa”.
Questo il focus dell’interrogazione, rivolta al ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, dai deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Cultura e a prima firma Gianluca Vacca . Un quesito, quello rivolto al titolare dal Miur, che nasce da alcuni dati acclarati. Per prima cosa, si legge nell’interrogazione “la valutazione dello studente italiano è espressa, sostanzialmente, con valori numerici a partire dalla scuola primaria. Rispetto a quanto avvenuto in altri paesi europei, il percorso italiano in materia di valutazione dello studente è stato l’opposto in quanto si è passati da un sistema basato sui giudizi, per lo meno nella scuola primaria, ad un sistema numerico. L’efficacia di tale sistema non è in assoluto comprovabile e, dunque, merita di essere messo quantomeno in discussione”. Discutibile e passibile di revisione è anche il principio in base al quale “nella scuola secondaria di primo grado, sono ammessi alla classe successiva, ovvero all’esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline. Inoltre, in base al decreto ministeriale 22 agosto 2007 n.139, l’istituzione scolastica certifica, attraverso un documento tecnico, i saperi e le competenze, articolati in conoscenze e abilità, con l’indicazione degli assi culturali di riferimento, ai fini dei passaggi a percorsi di diverso ordine, indirizzo e tipologia nonché per il riconoscimento dei crediti formativi. Tali certificazioni di cui sopra, non hanno mai assunto una valenza concreta, ma sono, spesso, un atto formale di scarso valore.
La nostra proposta non costituisce un caso isolato: nei giorni scorsi il presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, ha dichiarando che “i voti troppo bassi in pagella, come 2 o 3, possono avere un effetto depressivo sull’alunno. Per questo nella prassi anche in Italia alcuni insegnati non mettono mai meno di 4” ribadendo che “non dare voti brutti non significa che non bisogna valutare. Ma che si può fare in un modo diverso”. In Francia Benôit Hamon, Ministro dell’Istruzione Francese, ha deciso di affrontare la questione dei voti a scuola, lanciando una ‘conferenza nazionale sulla valutazione degli alunni’. Tale impulso deriva principalmente dalla convinzione che il voto, se si trasforma in un fattore paralizzante per lo studente, è meglio che venga sostituito con altre forme di valutazione. Noi riteniamo che sarebbe utile aprire un’analoga forma di confronto anche in Italia e, a tale scopo, interroghiamo il ministro dell’Istruzione per sapere la sua opinione in proposito e se da parte del suo dicastero ci sia la volontà di avviare azioni concrete”.
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