In questi giorni il Ministro Azzolina invita il mondo della scuola a mettere gli studenti al centro, a valorizzarne gli apprendimenti, intesi come processo e come traguardo, valutando perciò i ragazzi tenendo conto del loro percorso: «i professori che li hanno accompagnati per anni, sapranno bene come valutarli», si dice. Penso sia vero. Penso che ciò significhi anche che si ripone fiducia verso il sistema scuola.
La stessa fiducia si ripone anche nel sistema università: si raggiunge la laurea attraverso decine di esami, laboratori, tirocini, tesi di laurea discusse di fronte a esimi professori che rappresentano un’istituzione alla quale si è conferito il delicato compito di trasmettere una conoscenza altamente specializzata. E di valutarla: è stato attribuito loro questo compito e questa facoltà.
E fino a qui, tutto bello. Mi chiedo però che cosa succeda quando lo stesso studente, cresciuto nel medesimo percorso appena descritto, diventa un insegnante. A un certo punto si perde la fiducia verso tutto il sistema e si chiede al docente in questione, dopo anni di lavoro e insegnamento, di essere sottoposto a un test a crocette su una serie indeterminata di conoscenze, tutte già acquisite e valutate durante gli anni di formazione scolastica e universitaria.
Immagino che qualcuno potrebbe obiettare, come ripeteva un mantra del precedente governo, «non è detto che il miglior laureato in matematica sia anche il miglior professore di matematica». E penso sia vero anche questo.
Ma allora spiegatemi perché, dopo anni di studio e di lavoro, per valutare la qualità professionale di un insegnante, lo si esamina ancora una volta su quelle stesse conoscenze che ne hanno fatto, sempre secondo quel sistema verso il quale si ripone tanta fiducia, «il miglior laureato in matematica»?
Nel Piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry si rivolge «agli adulti, che un tempo sono stati bambini». Parafrasandolo, vorrei ricordare che anche «i docenti, un tempo sono stati studenti». E lo sono tutt’ora.
Ma forse il problema sta proprio qui: se tutti siamo stati bambini, forse non tutti siamo stati studenti. Almeno in questo governo.
Carlo Pepoli