Visto l’esito di questo difficile momento, con la richiesta a Sergio Mattarella di ripensarci e di concedere il bis come Presidente della Repubblica, molti mi stanno chiedendo: “ma com’è davvero Mattarella?”.
Sì, è notoria la sua alta competenza giuridica, come la sua pulizia etica.
Ma è il personaggio Mattarella quello che negli anni ha avuto un unanime riconoscimento.
Eppure, lui non ama la scena politica di questi anni. Preferisce la riservatezza personale.
Ed io, che l’ho conosciuto, frequentato, e col quale ho condiviso non poche iniziative, non ho fatto altro che confermare: il Sergio Mattarella di oggi è come l’ho conosciuto e frequentato negli anni Novanta.
Per riandare alla cronaca di quegli anni, Mattarella era con me componente del gruppo alla Camera dei Popolari. In tutto 33.
Un bel concentrato, quei 33, di grandi personalità. Ed io solo un giovane proveniente dal profondo Veneto.
Penso qui alla mia amicizia con Gabriele De Rosa ed Alberto Monticone, storici cattolici, come con Andreatta ed Elia, grandi studiosi.
Per non dire dei rapporti quotidiani con i quasi coetanei Letta, Franceschini, Fioroni.
Io facevo parte della Commissione Cultura.
Andreatta mi chiese, poi, di far parte, assieme a Sergio Mattarella, della Commissione Antimafia. Ricordo che il tema più importante che affrontammo in quella Commissione fu la questione dell’usura, e la verifica dei tassi bancari. Oltre ovviamente ai temi correnti delle infiltrazioni mafiose.
Così con Mattarella nacque quasi una amicizia, vista la differenza d’età.
Lunghe chiacchierate. Ovviamente non solo di politica. Ricordo qui il suo ricordo del padre Bernardo, tra i padri fondatori a Palermo dell’impegno politico dei cattolici, e del fratello Piersanti, ucciso dalla mafia.
Ricordo alcune situazioni curiose: lo accompagnai ad alcuni appuntamenti istituzionali. E ciò avveniva con la macchina blindata, perché lui aveva la scorta.
Gli chiesi più volte come si vive sotto scorta. Facile immaginare la risposta: una necessità, visti i tempi, ma carica di disagi.
Ricordo che mi fece studiare il caso di un senatore DC ucciso dalla mafia nel 1988, Roberto Ruffilli, incaricato di presentare una riforma dello Stato incentrata sul principio “il cittadino come arbitro“.
Studiai la proposta e compresi che, dopo l’uccisione di Moro nel 1978, non vi erano più i tempi per la modernizzazione dello Stato italiano. Con le conseguenze che sappiamo, cioè la degenerazione della Prima Repubblica e Tangentopoli. Quella insipienza fu coperta, l’anno dopo, nel 1989, dalla caduta del Muro di Berlino, e non si parlò più della proposta di Ruffilli, vero antesignano della applicazione del principio di sussidiarietà.
Ricordo Mattarella come studioso attento, puntuale, informato, disponibile. Ma sempre discreto, mai sopra le righe.
Lo stesso rigore morale, mi verrebbe da dire, del suo maestro politico, Aldo Moro. Che in tante occasioni è stato oggetto delle mie domande.
La conseguenza di questi contatti furono gli studi di quegli anni, guidato dallo storico De Rosa all’Istituto Sturzo, il mio impegno riformatore nel mondo della scuola e dell’università, sino al 2001 nella Commissione Cultura della Camera e da capo segreteria del Ministro dell’Università.
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