I lettori ci scrivono

Ma la scuola a cosa serve?

Le funzioni della Scuola sono state molto semplici e chiare soprattutto nelle fasi iniziali dello sviluppo socioeconomico del nostro Paese, dopo la sua unificazione nel 1861.  L’obbligo scolastico in Italia venne introdotto con la Legge Casati, promulgata dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati nel 1860. Il 15 luglio 1877 venne promulgata la Legge Coppino, che portò l’istruzione elementare da 4 anni a 5 e l’obbligo scolastico a 3 anni. Legge ritenuta molto importante per l’istruzione italiana in quanto contribuì ad innalzare il tasso di alfabetizzazione. Esisteva infatti il grande problema dell’analfabetismo che impediva gravemente lo sviluppo economico, oltreché quello scientifico e tecnologico del Paese. Il non saper leggere, scrivere e far di conto rendeva quasi impossibile trovare personale in grado di sfruttare le moderne invenzioni che stavano trasformando la realtà scientifica, economica e sociale.

La cella a combustibile di Robert Grove in grado di produrre elettricità (1839), il telefono di Innocenzo Manzetti (1864), la dinamite di Alfred Nobel (1867),  il fonografo di Tomas Edison (1877), la pellicola cinematografica di George Eastman (1885), lo pneumatico di John Boyd Dunlop (1898) avevano creato un contesto culturale, scientifico e tecnologico che richiedeva almeno le competenze scolastiche di base per potersi orientare nel nuovo scenario delle opportunità lavorative.  Nel 1904 la Legge Orlando portò infatti l’obbligo scolastico fino ai 12 anni ed obbligò i comuni ad istituire istituti elementari almeno fino alla quarta classe. La legge Daneo-Credaro del 1911 portò alla statalizzazione delle scuole elementari, fino a quel momento gestite dai comuni, seguita nel 1923 dalla famosa riforma Gentile promulgata durante il governo Mussolini. Nel 1928 venne istituita la Scuola di avviamento professionale che, dopo la scuola elementare, introduceva i ragazzi al mondo del lavoro o agli istituti tecnici.

Seguono poi tutte le numerose riforme scolastiche del secolo scorso, decreti delegati del 1974, riforma Berlinguer (1997), riforma Moratti (2003), riforma Gelmini (2008), la Buona Scuola del (2015), con le quali i vari governi di turno hanno sempre cercato di colmare il sempre più ampio gap esistente tra le competenze specialistiche richieste dall’innovazione scientifica e tecnologica e le statiche competenze acquisibili con la formazione scolastica. La surrogabilità nozionistica esercitata dalla cultura mediatica su quella scolastica tradizionale ha reso poco importante e poco credibile quest’ultima che conserva il valore residuo dell’obbligatorietà del titolo di studio per l’accesso al mondo del lavoro. La crisi occupazionale, che ormai viviamo da decenni, sta togliendo anche quest’ultimo baluardo in grado di frenare l’abbandono scolastico che affligge soprattutto le scuole superiori e l’università. Negli ordini scolastici inferiori la Scuola mantiene il suo primato per quanto riguarda la formazione di base perché ancora oggi bisogna per prima cosa imparare a leggere, scrivere e far di conto.

Ma quanto basta per potersi orientare nel mondo dei social e saper usare i vari dispositivi mobili. La Scuola materna, primaria e secondaria di primo grado svolgono quindi funzioni molto importanti. La prima è quella della formazione di base. La seconda è quella dell’accudimento dei nostri figli quando non sappiamo a chi lasciarli (perché troppo piccoli) per andare a lavorare. Il forte distacco tra sviluppo tecnologico e scientifico da una parte e la reale formazione scolastica posseduta dall’altra rende sempre più marginale il ruolo della Scuola (superiore) ponendo le basi per una sua totale surroga ad opera di Enti o Aziende.

Sarà, necessariamente, il mondo del lavoro a formare in modo specifico e settoriale gli elementi ritenuti migliori e più adatti, a prescindere di cosa dice il loro profilo scolastico. La valutazione scolastica falsata ed estremamente edulcorata non rende assolutamente credibile il lavoro formativo fatto dagli insegnanti. Le competenze dichiarate o col voto o con il curricolo non possono avere più alcun peso. Ciò che conta sono i fatti! Cosa sai e cosa sai fare?  Il motivo principale dell’insuccesso della Scuola è che non può offrire lavoro ed occupazione a tutta quella categoria di persone che non sono e non saranno mai motivate per lo studio “matto e disperatissimo” e che sono pronte ad abbandonare gli studi e adagiarsi a fare anche attività illegali ma facili! Se si riducessero le pastoie burocratiche e fiscali che limitano le assunzioni dei giovani da parte delle aziende di ogni tipo e dimensione si darebbe fiato all’economia e all’occupazione.

A questo punto studiare per imparare a fare un lavoro avrebbe senso compiuto. Il principio delle competenze verrebbe automaticamente applicato. Infatti, se non sai sistemare il televisore, o il computer, o l’impianto elettrico, o qualunque altra cosa non possiedi le competenze necessarie e sufficienti e non potrai essere assunto. Ma ci vuole prima l’azienda che cerca queste figure professionali e ci vogliono quelli che desiderano fare quel lavoro! Non va bene che tutti vogliono fare i medici o altre professioni ritenute “di prestigio”.

Bisogna anche permettere ai più caparbi e volenterosi di raggiungere obiettivi formativi “di più alto lignaggio”, ma devono impegnarsi parecchio! Pensare che i problemi della formazione scolastica si possano risolvere soltanto “riaddestrando” gli insegnanti e migliorando gli ambienti di apprendimento e le modalità di valutazione diventa un discorso da miopi. Gli autodidatti ci dimostrano questo principio: se voglio imparo, ed imparo bene quello che mi piace. Più che includere, solo per includere, ed esaltare con una valutazione positiva ciò che è, oggettivamente, poco e non sufficientemente competitivo nel mondo del lavoro bisogna riorientare verso scelte formative che diano reali speranze occupazionali.

Giuseppe D’Angelo

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