Home I lettori ci scrivono Ma la scuola vuole davvero cambiare?

Ma la scuola vuole davvero cambiare?

CONDIVIDI

Gentile lettrice,
non so se quello che sto scrivendo la possa consolare o, al contrario, non faccia altro che aumentare la sua amarezza.
Ad ogni modo sappia che anche io, che ho trascorso decenni nella scuola e che ancora adesso me ne occupo, sono preso spesso dallo scoramento. Lei ha ragione: spesso si ha la sensazione che sia tutto un “gioco” a peggiorare le cose.
Dobbiamo però tenere conto che purtroppo non sempre il “buono” emerge nel modo giusto, anzi può capitare che anche le cose belle e gradevoli vengano sommerse dal “peggio”. Però, mi creda, conosco il mondo della scuola da più di mezzo secolo e le posso garantire che di cose buone ce ne sono tante. Piuttosto a me pare che il problema stia nel fatto che nel nostro Paese si tenda troppo spesso a non “mettere a sistema” le cose buone che si fanno e questo produce un risultato paradossale: ogni anno scolastico, ogni scuola e ogni insegnante ricominciano daccapo come se l’esperienza passata non sia servita a nulla.
E su questo c’è un dato inoppugnabile: nella scuola italiana c’è poca attenzione a documentare e a comunicare ciò che si fa, e questo contribuisce certamente ad alimentare quel senso di impotenza che emerge dalla sua lettera, lettera che, mi pare, debba far riflettere tutti noi su quali debbano essere le priorità nella gestione del sistema scolastico e delle singole scuole. (R.P.)

————————————

Sono mesi che seguo con costanza il vostro giornale e che leggo invettive, opinioni, lamentele nei confronti della scuola, ma alla fine nessuna proposta reale e seria e nulla cambia, anzi in realtà sia dal ministero, sia dagli esperti del settore ci sono suggerimenti per peggiorare il peggio.
Da genitore mi chiedo se la vogliamo fare veramente finita e non sia seriamente tempo di ritrovare la scuola. Da genitore e da professionista lamento, ma sono in ottima compagnia, una scuola nozionistica incapace di sviluppare il logos, di stimolare il pensiero critico, ma ancora prima di insegnare agli alunni come costruire un discorso e  come risolvere il problema della signora Maria che va al mercato, quella splendida signora Maria che non c’ è più. Da genitore sono inorridita di sapere che storia, ma anche matematica, ma anche italiano si studia sui video de “I pasticciotti”.
Pur rendendo merito a questi volenterosi maestri sul web, mi chiedo perché le mie tasse debbano essere impiegate in questo modo e perché io debba mandare mio figlio a scuola. In un periodo in cui ovunque hanno capito i danni del digitale e la passività dei video io sono costretta a mandare mio figlio a scuola in nome di una finta socializzazione dove i bambini coi cellulari si scambiano shorts nelle chat di classe, dove non leggono per il piacere di farlo, ma sono letture strutturate dove gli viene imposto di riconoscere il testo poetico, la ricetta ecc.; sono costretta a confrontarmi con insegnanti che vogliono solo finire il programma senza sedimentare, approfondire, fare esperienza, guidati da testi che insegnano pure a loro cosa dire e come dirlo.
Ma che scuola è questa? E mi rode il fegato, ve lo dico veramente, a vedere crescere generazioni di deficienti, impotente. Mi tocca recuperare nelle vacanze, nel fine settimana, tra la stanchezza e lo scoramento, pezzi di scuola del passato, raccattando materiale al mercato dell’ usato, dell’ antiquariato, sperando che porti frutto. Pertanto, e lo dico ai tecnici della scuola, mi auguro che ci sia una rivoluzione come in altre nazioni dove vengono recuperati insegnamenti collaudati dal passato e dove si rendono conto che il mondo nuovo ha bisogno di gente capace, non di robots programmati per incasellare.