È una domanda che rivolgo a tutti coloro che hanno accolto con benevolenza, o perlomeno in modo acritico, questo strumento nelle scuole italiane. E questa domanda me ne fa sorgere altre.
Il dirigente, a cui spetta l’ultima parola nell’assegnare il premio e nello stabilirne la consistenza, mi ha mai visto all’opera? Ha mai testato il mio livello culturale? Sa come padroneggio le discipline che insegno? E come affronto i problemi della classe, come riesco a gestire i conflitti, come motivo gli alunni? È consapevole dei percorsi diversificati che offro a chi ne ha bisogno? Conosce il mio grado di autocontrollo? Le mie attenzioni affettive? Come mi relaziono con le famiglie degli alunni? È in grado di pesare la quantità di serenità che riesco a trasferire negli allievi ogni giorno che questi varcano il portone della scuola?
Io credo che la straordinarietà del lavoro dell’insegnante risieda nella normalità del proprio compito. Un bravo insegnante non è, a parer mio, chi si percepisce tale, ma chi si impegna senza clamore, con costanza e umiltà a diventarlo, imparando molto anche dai propri alunni.
Ma questo bonus premia davvero il merito?
Per me la risposta è no. Ritengo il bonus uno strumento inadatto per quanto esposto sopra e, aggiungo, offensivo. Dal premio sono esclusi gli insegnanti precari. Chi è precario è, secondo la norma, ontologicamente scarso. Così come risulterebbe aprioristicamente scarsa la stragrande maggioranza dei docenti che ha i requisiti per accedervi. Il bonus potrà essere elargito solo ad un 10 – 30% degli insegnanti a fronte di una percentuale che oscillerebbe tra il 70 e il 90% che risulterebbe immeritevole.
Esprimo dunque la volontà di non richiedere per la mia persona l’attribuzione del bonus premiale. Onestamente, non credo di meritarmi questo merito.
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