Il dato che vede la scuola italiana versare in un profondo stato di crisi, è anche certificato dagli ultimi risultati Ocse, stilati, per l’appunto, dall’organizzazione europea preposta per la cooperazione e lo sviluppo economico.
In questi risultati si registra, con dispiacere, che i cittadini italiani sono graduati in fondo alla classifica riguardanti le conoscenze essenziali per orientarsi, in termini di competenze sul lavoro e per lo sviluppo economico italiano, nella società del terzo millennio.
Il punto di vista dell’Ocse, che è un osservatorio strettamente legato, per la sua natura di coordinare l’aspetto economico delle varie realtà europee, al concetto di competitività e di capacità di emergere nel libero mercato.
Le rilevazioni dell’ Ocse, è giusto dirlo per meglio comprendere di cosa stiamo parlando, sono basate sulla spendibilità delle competenze acquisite nei percorsi scolastici, in una società ormai globalizzata, dove le parole d’ordine sono mercato ed economia.
In sostanza all’Italia non viene imputata la mancanza di competenze di base come ad esempio il saper leggere, scrivere o fare di conto, ma le criticità rilevate sono altre. Infatti il gap con le altre nazioni europee, che ci relega in fondo a questa classifica, è dovuto essenzialmente ad alcune criticità fondamentali, come ad esempio quella delle difficoltà nell’uso delle tecnologie digitali e delle reti internet, poco utilizzate a scuola per acquisire informazioni.
Si registrano anche competenze insufficienti nella lettura dei grafici o delle tabelle di carattere statistico, matematico, finanziario e fisico. Come risolvere questo gap, che emargina l’Italia dal resto d’Europa?
Questa è la domanda che il ministro dell’Istruzione Carrozza congiuntamente con il ministro del Lavoro Giovannini, si stanno ponendo, cercando di trovare in tempi stretti anche una risposta adeguata.
Nel frattempo c’è chi ha trovato la risposta a questa domanda, e la manifesta, attraverso editoriali nei vari organi di stampa, con legittima trasparenza. L’idea politica che campeggia in questi editoriali, sarebbe quella di privatizzare l’istruzione pubblica, con una spinta autonomistica totalitaria delle scuole, rendendo le scuole oltre che più autonome anche più competitive.
Secondo questa ipotesi di riforma , bisognerebbe dare l’opportunità, alle scuole che lo desiderino, di crearsi una gestione totalmente autonoma e autoreferenziale.
Questo deve essere consentito in quanto, è scritto in questi editoriali, lo Stato ha fallito nella gestione centralizzata delle scuole, dimostrando tutta la incapacità gestionale.
Tra l’altro queste opinioni, ricalcano precisamente il programma politico sulla riforma della scuola della vecchia Forza Italia, poi trasferita nel PDL ed oggi rientrata nei due tronconi del nuovo centrodestra e della rinata Forza Italia.
Si tratta della stessa idea politica, che l’Aprea sta adottando per la scuola lombarda, laboratorio politico di una nuova configurazione giuridica del sistema scolastico riformato.
Sarebbe la fine della scuola pubblica e la proliferazione di migliaia di scuole gestite da fondazioni private. Una nuova scuola dove tutto funzionerebbe speditamente, un luogo dove non si sentirebbe parlare più di sindacati e di diritti sindacali, e dove finalmente si consentirebbe al dirigente scolastico di potersi scegliere liberamente gli insegnanti, offrendo loro le retribuzioni e le prospettive di carriera che ritengono più adatte.
La nostra riflessione su questo libro delle favole, dove lo Stato rappresenterebbe il lupo cattivo che fa male ai nostri bambini, mentre le fondazioni private, sarebbero come le fatine turchesi con la loro bacchetta magica, capaci di fare i miracoli, è molto semplice e si esplica in una domanda: “Ma siamo proprio certi che i privati gestirebbero le scuole meglio di quanto non abbia fatto finora lo Stato?”
Qualche dubbio, vista la situazione della gestione privata dei trasporti locali in Italia, sorge spontaneo ed è ovvio fare delle giuste considerazioni. Non si correrebbe il rischio di un reclutamento viziato da forme di clientelismo o nepotismo, così come è emerso dall’inchiesta delle assunzioni dell’Atac di Roma?
Si rammenta che anche l’Atac, adottò forme di assunzione diretta, che come detto si vorrebbero adottare anche per le scuole, con lo squallido risultato che ad essere assunti sono stati generi, nipoti, segretarie e mogli di assessori. Forse si vuole replicare questi cattivi esempi, che non sono unici, ma usuali nel nostro Paese, anche per il settore della conoscenza?
A nostro avviso la scuola dovrebbe restare pubblica è lo Stato dovrebbe garantire una istruzione di qualità a tutti gli studenti del territorio nazionale, impegnandosi a tutelare le pari opportunità a prescindere dallo stato sociale di appartenenza di qualsiasi discente, ed investendo sulla digitalizzazione delle scuole, sulla sicurezza delle scuole evitando il proliferare di classi pollaio.
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