Ci sono aggiornamenti sul controverso caso della maestra di Oristano, 59enne, sospesa l’anno scorso per aver fatto l’Ave Maria in classe con i suoi bambini, per aver usato l’olio per benedirli e per aver fatto costruire loro dei rosari in orario di lezione, durante il quale avrebbe dovuto invece insegnare italiano.
La donna, il cui caso aveva avuto grande eco mediatica, era stata sospesa per venti giorni dal lavoro, con riduzione dello stipendio. La docente aveva fatto ricorso, adesso respinto dalla sezione Lavoro del Tribunale. Lo riportano La Nuova Sardegna e La Repubblica.
Per la giudice le attività svolte in classe dalla maestra durante l’anno scolastico 2022-2023, non costituivano “espressione della libertà di insegnamento, bensì una violazione dei suoi doveri di docente di una scuola pubblica statale e dei principi che la scuola stessa deve assicurare e garantire, fra cui quello, fondamentale, di laicità dello Stato, oltre ad avere interferito con il diritto dovere dei genitori garantito dalla nostra Costituzione (art. 30) di educare i figli, anche da un punto di vista religioso”.
La sospensione era scattata a seguito di diversi richiami allo svolgimento delle proprie mansioni che la direzione scolastica aveva fatto all’insegnante dopo le segnalazioni dei colleghi e l’esposto di tre genitori. L’episodio dell’olio, poi, è stato confermato dalla stessa docente.
Si trattava di “un olio profumato, a suo dire non benedetto, chiamato olio di Nardo – scrive la giudice – che la docente aveva tirato fuori dalla propria borsa e che alcuni bambini avevano anche usato per ungersi il corpo”. In quell’occasione, si legge ancora nelle motivazioni, sempre sollecitata dagli alunni, la maestra aveva raccontato ai bambini “la storia biblica dell’olio portato a Gesù prima della crocefissione e che avrebbe dovuto essere utilizzato per cospargere il corpo di Cristo dopo la morte”.
Secondo i legali della 59enne il provvedimento andava annullato perché la contestazione era stata notificata alla docente senza il rispetto del termine di venti giorni, compromettendo il diritto di difesa e in violazione del contratto collettivo di lavoro. Secondo gli avvocati i comportamenti tenuti dalla docente avrebbero dovuto essere ricondotti nell’alveo della libertà di insegnamento.
Per il giudice invece, che ha dichiarato infondati i motivi del ricorso, la sanzione disciplinare era “assolutamente conforme a quanto previsto dalla legge”. L’insegnante inoltre “ha ripetutamente posto in essere pratiche di culto estranee all’esercizio della funzione docente e alle mansioni assegnatele, in violazione dei propri doveri”, come appunto l’episodio dell’olio. Attività di culto che, scorrendo la sentenza, il giudice ricorda: “Non sono neppure coerenti con l’insegnamento della religione, pacificamente svolto da un’altra docente dell’istituto scolastico statale presso cui prestava servizio la ricorrente”.
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