Ieri, 5 maggio, la giornalista e conduttrice Lilli Gruber è stata ospite del suo collega Massimo Gramellini all’interno del programma “In Altre Parole“, in onda su La7. Qui ha parlato di educazione sessuale e dei pericoli della pornografia online, tema su cui ha dedicato di recente un libro-inchiesta.
“Ai maschi, fin da piccoli, viene dato il permesso di essere prevaricatori. Questo viene perpetrato in famiglia, nelle scuole, in tutti i luoghi di studio, di lavoro. C’è una difficoltà da parte dei giovani nel distinguere ciò che vedono online e la realtà. L’educazione sessuale dei ragazzi passa attraverso la pornografia. Trovo questo agghiacciante. Le donne hanno un ruolo degradante”, ha esordito, parlando anche di patriarcato.
La Gruber ha poi detto la sua in merito al licenziamento di una supplente, Cesena, avvenuto dopo che questa ha fatto una lezione di educazione sessuale in classe: “Con i divieti, come sta accadendo in Francia, non si va da nessuna parte. E poi la scuola. Siamo fanalino di coda, non abbiamo l’educazione sessuale come materia obbligatoria nelle scuole. Questo è un grandissimo danno per i minori. Chiaramente richiede la presenza di qualcuno che abbia esperienza, di formazione. Questo messaggio, licenziare una docente che ha fatto una lezione di educazione sessuale in classe, è orribile, e ad esultare sono i movimenti pro-life”, ha concluso.
La maestra supplente di Cesena è stata licenziata per aver parlato di sessualità e procreazione in classe dopo che due alunni avevano litigato pesantemente arrivando a utilizzare parole forti di “natura sessuale o corporale”.
In quell’occasione, la docente è intervenuta prima fermando il conflitto, poi utilizzando quest’ultimo come spunto per discutere di sessualità con i bambini. Da un giorno all’altro, si è ritrovata un licenziamento per giusta causa con cancellazione dalle graduatorie, intimato dal Ministero dell’Istruzione.
Una decisione inaccettabile, secondo la docente, che ha deciso di passare per vie legali rivolgendosi al tribunale di Forlì. Tuttavia, il ricorso è stato respinto dai magistrati. La maestra ha quindi impugnato la sentenza prima presso la Corte d’Appello, la quale ha anch’essa rigettato il ricorso, e infine presso la Corte di Cassazione.
La maestra ha tentato di difendersi con diverse argomentazioni nel suo ricorso, sostenendo di non essere stata informata in modo adeguato sugli atti alla base della contestazione disciplinare e mettendo in dubbio la validità delle prove, che includevano dichiarazioni dei bambini coinvolti. Inoltre, ha negato di aver utilizzato un linguaggio volgare o crudo con i piccoli, raccontando di aver disegnato e mostrato le immagini solo di un ovulo, uno spermatozoo e uno zigote, e non di organi genitali come peni o vagine.
Niente da fare per la docente: nonostante le giustificazioni, la Corte di Cassazione ha confermato la correttezza delle sentenze precedenti. Secondo i giudici, le prove presentate – ovvero il verbale del colloquio tra la preside e la rappresentante dei genitori, il verbale dell’incontro tra la dirigente e una collega della maestra coinvolta, il verbale del colloquio tra la preside e la supplente – erano sufficienti per considerare il comportamento della maestra del tutto “inappropriato”, anche dopo aver preso in considerazione l’ipotesi che gli alunni potessero aver “ingigantito” quanto accaduto.
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