Dicono di sentirsi come degli alpinisti. L’alpinista più attivo è il presidente dell’ Associazione Maestri di Strada Onlus, Cesare Moreno, che con due suoi collaboratori, Francesco Bitonti e Gabriella Papadopoli, ha raccontato a Tgcom24 la sua esperienza di educatore in una “scuola della seconda opportunità”.
Insieme ad altri volontari ed educatori, inizia a concretizzare l’idea di una “seconda scuola” fondando nel 2003 l’Associazione Maestri di Strada Onlus.
Niente più campanelle, ci racocnta Cesare, niente più orari nè cattedre: si sperimenta una nuova figura di insegnante indipendente, “itinerante”, capace di inventare e costruire una relazione educativa che cominci dalla strada e finisca in classe. Non saranno più i voti a essere valutati bensì la partecipazione, l’impegno e la presenza di tutti quegli studenti che per vari motivi avevano avvertito fino ad allora un senso di rifiuto e straniamento nei confronti dell’istituzione scuola.
I “dispersi” di cui si occupano i maestri di strada sono ragazzi tra i 14 e i 18 anni in fuga dalla scuola dopo essere stati bocciati o addirittura espulsi perché ritenuti non contenibili nel contesto scolastico.
“Ci sono casi in cui il padre o il fratello si trova in galera, ci sono rom, stranieri e italiani ripetenti ma anche casi di violenza e di ragazze in gravidanza”.
Sono gli ultimi della classe, i perdenti, sono adolescenti depressi o aggressivi, magari cresciuti troppo in fretta ma che emotivamente a volte appaiono più piccoli della loro età anagrafica. A queste difficoltà obiettive spesso si aggiungono una forte identità di quartiere e un legame problematico con il gruppo dei pari. A tutti questi ragazzi, i maestri di strada non offrono solo una seconda opportunità per raggiungere il diploma di terza media, ma soprattutto un motivo di riscatto sociale.
“Il profilo dell’educatore è incerto, deve lavorare a fianco degli insegnanti non sulla disciplina bensì sulla motivazione dell’adolescente. Deve fungere da “tutor” e da osservatore fuori e dentro l’aula, deve cercare di costruire un legame di fiducia con i ragazzi, deve cogliere ansie, esigenze preoccupazioni facendo proprio il processo di empowerment (lavoro di comunità).”
Il loro obiettivo è una didattica che unisca attività laboratoriale e disciplinare, che dia spazio alla parola, all’educazione e anche all’espressione artistica. Per questo motivo l’associazione organizza diverse attività extracurriculari che possano tenere impegnati i giovani drop-out .
La scuola che si dichiara “per tutti” ma non riesce ad essere “per ciascuno” infatti, non fa altro che alimentare il fenomeno della dispersione. Il rapporto di fiducia, complicità ed empatia con i ragazzi si riesce a instaurare solo se il maestro investe passione e cuore in un percorso positivo da fare insieme; è una vera e propria scelta di vita.
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