I lettori ci scrivono

Mai più sulla pelle dei docenti. Il valore educativo delle sanzioni disciplinari

La letteratura relativa ad alcune problematiche educative con risvolti giuridici, sociologici, psicologici e pedagogici, ha raggiunto un indice così alto, sia nel numero che nella gravità, che sembra non esservi via d’uscita.

Puntualmente, il copione si ripete. Un alunno accoltella la Prof., viene bocciato e i genitori fanno ricorso. Un alunno impallina una Prof. e viene promosso con nove in condotta.

Due gravissimi episodi con esiti completamente opposti che determinano rabbia, sdegno e, soprattutto, evidenziano la crisi profonda in cui versa la scuola.

Ogni vicenda è una domanda: come è possibile ciò?

Non si può certamente dire che le risposte, per la complessità dei temi affrontati, siano facili o completamente convergenti.

A volte, i toni della discussione sono talmente accesi che la famiglia, come istituzione, sembra sia la grande imputata contro la quale si appuntano gli strali della polemica.

Ovviamente, non si intendono pronunciare sentenze di condanna, né tanto meno avanzare proteste di denuncia, ma si esprime il rammarico perché, tra le alchimie della politica e dell’educazione, la partita si gioca sempre sulla pelle dei docenti.

Questi grossi e gravi problemi, per avere una soluzione, necessitano di un viaggio pedagogico, di una trasfigurazione del processo educativo, che porti ad una scuola nuova in cui ciascuno si conformi secondo la misura e la direzione di un preciso ordine normativo-etico-sociale.

Si tratta di contribuire, secondo le proprie capacità e competenze, a quella “Instauratio magna”, che permetta di ritrovarsi uniti e impegnati, senza barriere o pregiudizi, nel non facile compito di rispetto delle regole e, conseguentemente, di recupero del valore educativo della sanzione disciplinare.

Non si può negare che, oggi, in tanti e larghissimi strati sociali, la scuola non viene più colta nella sacralità della sua funzione, ma piuttosto come un momento accessorio che trova la sua ragion d’essere in presupposti di carattere utilitaristico ed egoistico.

In un contesto socio-culturale in cui “il malessere del benessere” appare come uno degli aspetti più inquietanti che sta logorando il senso dei valori tradizionali, spesso avvertiti come un freno alle proprie libertà, è ampiamente diffusa una decadenza della funzione educativa della scuola e della famiglia.

In un momento di grande crisi dell’autorità, emergono e si consolidano atteggiamenti abdicatari, che allontanano da compiti educativi propri e riducono il discorso pedagogico ad un impegno di carattere puramente contingente e strumentale.

Nella cosciente responsabilità a realizzare un vero e proprio contagio autenticamente formativo, la scuola, con i piedi saldamente poggiati sulla terra, deve seguire esperienze didattiche coerenti tra quel che dice e fa.

In questa prospettiva, la sanzione disciplinare si qualifica come autenticamente educativa, solo se è attuazione di una norma nella quale emerge quella misura umana che non costituisce un parametro rigido di giudizio, ma il valore testimoniale di una necessaria esperienza formativa.

Certamente, su questi fatti, non è auspicabile una speculazione demagogica, ma una serena valutazione, che permetta di cogliere il giusto valore, le proporzioni e le direzioni del provvedimento.

Bisogna ribadire il valore educativo della sanzione, che va colta nello spirito del dialogo, che è lo spirito stesso della ragione, della ragionevolezza e dell’onestà.

Principio di ogni azione è, infatti, la riflessione sapiente che trattiene l’uomo dal fare il male. Per questo, il compito della famiglia è quello di rispondere in modo autentico a quella vocazione alla complementarietà, che aiuta i ragazzi a resistere alle pressioni e alle suggestioni del male.

Si tratta di prospettare una dimensione nuova dell’autorità familiare e scolastica, nella quale più che l’aspetto giuridico, emerge l’aspetto morale, caratterizzato da un atteggiamento di fiducia e di dialogo.

In questo modo non si perde l’uomo, ma si cerca di recuperare la sua umanità.

Fernando Mazzeo

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