Il Maker Movement nasce dall’introduzione di nuove tecnologie per la stampa 3D e di schede Arduino utili alla prototipazione e alla fabbricazione di strumenti e di oggetti. Tuttavia, il making proviene da qualcosa di più personale: i makers sono persone interessate all’esplorazione e alla sperimentazione, che ‘smanettano’ con la tecnologia per apprenderla e comprenderla meglio.
I makers provano, si mettono in gioco, smontano oggetti, sperimentano alternative. Da questo processo nascono idee nuove che a volte portano ad applicazioni trasferibili al mondo della produzione ‘reale’. Il “principio attivo” che anima i makers non è una novità assoluta, perché il “fai da te” è sempre stato un modo, oltre che un diletto, di soddisfare esigenze personali.
L’avvento di nuove tecnologie informatiche a basso costo e larga diffusione (internet, social network, microcontroller, sensori, attuatori, per citarne alcuni) e la nascita di nuove filosofie open source di diffusione e condivisione hanno trasformato il “fai da te” in una nuova forma.
Di seguito alcune caratteristiche che contraddistinguono l’agire e l’apprendere del making:
- Un approccio hacker alla conoscenza. Secondo Steven Levy “gli hackers credono che gli insegnamenti fondamentali sui sistemi – e sul mondo – possano essere appresi smontando le cose, analizzandone il funzionamento e utilizzando la conoscenza per creare cose nuove e più interessanti”. Quindi si apprende modificando il software e l’hardware, anche quello proprietario, “mettendoci le mani sopra”, al fine di ottimizzarne l’uso e acquisire conoscenza.
- Una medodologia “tinkering”, basata sul trinomio think-make-improve, che prevede una fase di ideazione, di definizione dei problemi, di studio, di brainstornming, di pianificazione; una fase di messa in pratica, di creazione, programmazione, osservazione, prototipazione; e un’ultima fase di verifica e miglioramento di quanto fatto, che può portare alla ridefinizione delle idee e degli assunti di partenza. In questo senso l’errore non è visto negativamente ma è un’occasione per progredire e migliorare.
- La collaborazione e la condivisione della conoscenza in perfetta filosofia “open”. Ad esempio, copiare non vuol dire barare, anzi viene promosso come attività da praticare. Il mentor nei maker space recita il mantra “chiedi a tre e poi chiedi a me” favorendo il dialogo tra studenti e l’influenza reciproca, lasciando che i ragazzi copino, sbaglino e siano corretti dai loro compagni.