Malascuola, bacchettate anche dagli imprenditori: basta parole!
L’Italia sembra proprio essere diventato uno di quei Paesi dove l’istruzione è l’ultimo dei problemi. Stavolta l’allarme è lanciato Fondazione Cini di Venezia, nel corso dell’incontro annuale della Federazione dei Cavalieri del Lavoro chiamati a parlare di “Una scuola più europea per la competitività ed una cittadinanza attiva”.
Tutti i relatori si sono detti d’accordo nel classificare l’attuale sistema scolastico italiano come tra quelli meno in grado di affrontare le complesse esigenze formative delle nuove generazioni.
Davvero impietoso il quadro tracciato dall’imprenditore Pietro Marzotto, che ha rilevato come “quasi la metà della popolazione italiana attiva possiede al massimo la licenza media mentre la media Ue è del 25%, il tutto con conoscenze effettive possedute che tocca il 35% dei soggetti contro una media dei Paesi più avanzati che oscilla dal 50% al 70%“.
E non finisce qui, perché, ha continuato Marzotto, “solo il 15% degli italiani raggiunge una preparazione universitaria – ha aggiunto – quando nell’Ue è oltre il 28% con la formazione secondaria che è anche in questo caso più performante rispetto al nostro Paese“.
“Siamo rimasti fermi, se non addirittura arretrati, e la crisi non vale come scusa – ha concluso l’imprenditore – perché gli altri Paesi nonostante ciò hanno saputo progredire” nonostante l’investimento in formazione, rispetto al Pil, non registri differenze.
La risposta, secondo gli intervenuti al convegno, è che la soluzione al problema formativo italiano va trovata in risorse economiche. Ma soprattutto nel superamento dello sterile dialogo a due tra politica e docenti, soprattutto poi quando su quasi un milione di insegnanti che ci sono in Italia, un numero terribilmente alto è composto da precari.
Secondo Claude Thelot, esperto francese in ‘education’, in Italia si paga anche lo “scotto” di un sistema “conservatore” “Il successo della scuola – ha sottolineato il transalpino- è il successo formativo di tutti gli studenti (da qui uno dei limiti italiani)i“.
Ma quella dell’esperto francese è sembrata una voce fuori dal coro. Secondo Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che ha concluso l’incontro nazionale dei Cavalieri del Lavoro quest’anno dedicato al tema della scuola. “I nostri vicini e i competitori – ha ricordato Squinzi – tagliano spese inutili o improduttive e investono in formazione e ricerca per creare quella creatività e flessibilità culturale necessarie per pensare il nuovo“. Basta quindi “con tanta scuola parlata“, sì invece alla “valutazione e qualificare dell’offerta e alla difesa del merito“.
“La crisi del lavoro e l’emorragia di imprese – ha continuato il leader degli imprenditori – rischia di minare il modello sociale del nostro Paese e di sottrarci energie vitali. Per questo ai giovani chiediamo sempre più adattabilità, mobilità, e apertura internazionale, combinate con i nuovi saperi tecnici“. Per Squinzi solo così “potremo fermare questa nuova ondata migratoria dei giovani migliori verso Paesi che danno loro non più garanzie ma più fiducia e senso del futuro“. Nonostante sia cresciuta la scolarizzazione, per l’imprenditore, è venuta meno “una maggiore reattività del cambiamento” sia della società che della scuola tanto che “siamo via via scivolati sempre più in basso nei ranking internazionali“.
Serve, quindi, una svolta. Peccato che, probabilmente, anche il Governo Letta è intenzionato a rimandarla. Secondo il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, infatti, il Governo non sembra proprio intenzionato a finanziare il comparto: come tutti gli altri, dovrà essere in grado di garantirsi gli investimenti da solo.